Non solo Pfizer. Ora i timori per i ritardi sulle consegne in Europa ci sono anche per quelle del vaccino di Astrazeneca - su cui l'Italia ha puntato di più - la cui approvazione è attesa prima di fine mese. «I volumi iniziali saranno inferiori a quanto originariamente previsto a causa della riduzione dei rendimenti in un sito di produzione all'interno della nostra catena di fornitura europea, ma forniremo decine di milioni di dosi a febbraio e marzo all'Ue, mentre continuiamo ad aumentare i volumi di produzione», ha dichiarato un portavoce dell'azienda al Guardian. Ma secondo il Financial Times, che cita fonti Ue, gli ammanchi saranno «significativi». Il vaccino di AstraZeneca dovrebbe arrivare in 100 milioni di dosi all'Ue nel primo trimestre, ma per il quotidiano britannico l'azienda potrebbe consegnarne meno della «metà».
Intanto se non verranno ripristinate, come promesso, le consegne delle dosi Pfizer la prossima settimana, anche la Commissione Ue chiederà chiarimenti alla ditta americana. Il commissario all'emergenza Domenico Arcuri invece ha intenzione di percorrere le vie legali contro Pfizer - che ha annunciato un ritardo dovuto alla ristrutturazione del suo sito produttivo in Belgio. «Non penso siano sufficienti rassicurazioni - avverte Arcuri - servono i vaccini. Dobbiamo continuare a reclamare perché il diritto alla salute degli italiani non è un valore che si può negoziare». Tanto che, conferma, «l'intenzione è quella di intraprendere una causa. Domani (oggi, ndr) incontrerò l'avvocatura per concludere molto presto l'istruttoria».
Se si dovesse arrivare allo scenario peggiore, in caso cioè di un prolungato calo delle forniture dei vaccini Pfizer che potrebbe portare a una «emergenza», è l'Aifa a indicare la strada: «Si può riflettere sulla possibilità di somministrare una sola dose, per vaccinare più persone possibile», dice il presidente Giorgio Palù. «Prima di tutto - spiega il virologo - bisogna osservare le indicazioni vigenti, che parlano di un'efficacia di oltre il 90% con due dosi di vaccino Pfizer, la seconda 21 giorni dopo la prima. Questo dicono gli studi presentati, e questo bisognerebbe fare. Però, come ha rilevato il professor Remuzzi, gli inglesi sostengono che se è vero che gli studi clinici parlano di un'efficacia della dose singola poco oltre il 50% dopo 12 giorni, se i tempi si allungano a 20 e più giorni la protezione sale, e può arrivare all'80%». Lo scenario però, avverte Palù, per il momento non è questo. Il numero uno dell'agenzia del farmaco scansa le ipotesi più nefaste: «Il ritardo di Pfizer complica il quadro, e c'è una certa preoccupazione. Ma sembra che nella settimana che comincia il 15 febbraio dovrebbe essere sanato. Un ritardo tecnico di una settimana o due non dovrebbero incidere granché».
Ma altri dubbi, questa volta sul raggiungimento dell'immunità di gregge con le varianti in circolazione, arrivano da uno studio inglese secondo cui con il vaccino Astrazeneca, non si arriverebbe a una valida riduzione del contagio. Scrivono in articolo pubblicato sul server di prestampa MedRxiv i ricercatori dell'Università dell'East Anglia: «Con le nuove varianti l'indice di trasmissione risulta più elevato per cui vaccinare l'intera popolazione con la soluzione di Oxford (che ha mostrato un'efficacia media del 70 per cento nei trial) non porterebbe a un calo dell'Rt sufficiente a debellare la malattia.
Secondo i nostri risultati, inoltre, una campagna vaccinale con l'efficacia paragonabile alla Pfizer (efficace al 95 per cento secondo i primi dati), richiederebbe la somministrazione delle dosi almeno all'82 per cento della popolazione per controllare la diffusione della nuova variante».
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