Immigrazione, ecco i trafficanti di uomini che minacciano l'Italia

Ai disperati vengono chiesti fino a 1.600 dollari a testa per partire. Durante Mare Nostrum applicavano uno sconto del 50% perché le navi italiane recuperavano gli immigrati fino a poche miglia dalla Libia

Immigrazione, ecco i trafficanti di uomini che minacciano l'Italia

Ermies è "basso e robusto", almeno così dicono. In molti lo hanno visto impartire ordini nella mezrea, la fattoria nelle campagne di Tripoli dove i clandestini aspettano per settimane prima di salire sulle carrette dirette in Italia. John, invece, è descritto come "una persona affidabile", a differenza di Teferi e Shumay, che costringono le persone a partire contro la propria volontà. Poi c’è Abdelrezak, che negli ultimi tempi si è fatto vedere poco sulle spiagge libiche: due viaggi organizzati a maggio e giugno scorsi sono andati a finire male e 300 immigrati sono morti annegati. "Si è un po' defilato - dicono - ma è sempre attivo".

I mercanti di uomini che operano in Libia non arrivano alla dozzina. Quasi nessuno è libico: sono etiopi, sudanesi ed egiziani. Gli investigatori e i servizi segreti italiani li conoscono talmente bene al punto da sapere che, durante Mare Nostrum, applicavano ai "prezzi" dei viaggi uno sconto del 50% dal momento che le navi italiane si avvicinavano fino a poche miglia dalla Libia per salvare gli immigrati. Nonostante tutti i dossier in mano all'intelligence, riuscire a mettere le mani s su questi trafficanti di uomini e disarticolare le loro organizzazioni, che si avvalgono di decine di collaboratori, è tutt’altra storia. "Non si sa più con chi parlare - spiegano gli 007 - non c’è nessuno che comanda, un accordo preso può diventare carta straccia il giorno dopo". E così Ermies e gli altri continuano a fare i loro interessi indisturbati. "Il nostro lavoro - dice al telefono, intercettato dall'Ansa, Ermies - è il contrabbando di migranti, quindi possono sorgere degli imprevisti".

Sono le intercettazioni a rivelare i nomi e le storie di chi gestisce i traffici. John Maray, ad esempio, è un sudanese. Il suo quartier generale è a Khartoum, ma spesso si sposta in Libia. "È - dicono le inchieste aperte dalle procure siciliane - uno dei principali organizzatori dei trasferimenti dei migranti dal centro Africa alle coste della Libia". Ha uomini nelle carceri locali e tutti lo conoscono come un personaggio affidabile. "Per organizzare i viaggi - dice John al telefono ad un altro trafficante - vanno rispettati determinati fattori, e cioè che le partenze non devono avvenire con il mare in tempesta e non bisogna dare adito alle lamentele dei migranti". John è in contatto con Ermies (o Ermias) Ghermay, un 40enne etiope che da anni vive in Libia. Di lui gli investigatori sanno quasi tutto: abita nel quartiere di Abu Sà a Tripoli, si sposta spesso nei porti di Zuwara, Zawia, Garabulli e gestisce una fattoria dove nasconde fino a 600 clandestini alla volta. A questi disperati chiede tra i 1.200 e i 1.600 dollari a testa per partire. Al telefono parla di contatti con la "polizia libica" e persino di un "capo" che viaggia spesso in Arabia Saudita. "Quando i viaggi li organizzo io, i viaggiatori partono tutti - dice - se non riesco ad imbarcarli in un viaggio ce ne sarà un altro pronto a partire l’indomani o tra qualche ora". Si troverebbe invece in Turchia, dopo la stretta delle autorità egiziane, Ahmed Mohamed Hanafi Farrag, considerato uno dei capi delle organizzazioni che operano in Egitto. Aveva auto e camion per il trasporto degli immigrati, case, imbarcazioni di vario genere, tra cui due "navi madre" che gli sono state sequestrate in Italia. E lui al telefono chiedeva al capitano di fargli sapere dove doveva mandare l’avvocato.

Dalle informazioni, che i servizi segreti hanno ancora sul territorio, sembrerebbe che siano ancora loro ad avere in mano la gestione della tratta di esseri umani, ma l’arrivo dei miliziani in nero potrebbe cambiare le cose. Già il fatto che i clandestini vengono buttati in mare con qualsiasi condizione meteo e con barche fatiscenti è il segnale che si vuole alzare la pressione. E chi ha davvero interesse a farlo? Secondo il presidente del Copasir Giacomo Stucchi è poi "concreto" il rischio che dei terroristi possano nascondersi tra gli extracomunitari. E c’è un altro elemento che preoccupa gli esperti ed è quello evidenziato dalla Rivista italiana difesa: gli uomini dello Stati islamico potrebbero ripetere nel canale di Sicilia quel che da dieci anni accade nel tratto di mare tra la Somalia e Aden, attaccando pescherecci, piccoli mercantili e anche i mezzi di soccorso, con l’obiettivo di prendere ostaggi.

Ma c’è un altro scenario ipotizzato, ancora più inquietante: i terroristi potrebbero trasformare i barconi in trappole esplosive da far saltare in aria contro le navi e le motovedette italiane o di Frontex impegnate nei soccorsi ai migranti.

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