«Anche gli influencer devono pagare le tasse». Il sasso nello stagno è stato lanciato dal ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, nel corso della festa della Lega a Cervia. Il concetto è cristallino: se si produce reddito, si devono versare tributi. Come osservato dal titolare del Tesoro, il sistema economico è molto cambiato negli ultimi decenni e «oggi si deve andare a cercare la base imponibile» anche setacciando attività che in passato non venivano neppure immaginate, come sono quelle che si svolgono in Internet. E se l'evasione fiscale in Italia è stimata tra i 70 e i 100 miliardi all'anno si deve andare a pescare tra «giganti del web» e influencer.
D'altronde, l'Autorità garante delle Comunicazioni a luglio ha aperto una consultazione pubblica della durata di sessanta giorni per garantire il rispetto degli standard del settore media anche alle star di TikTok e Instagram. In buona sostanza, l'obiettivo è equiparare gli «influencer continuativi» (cioè coloro che vivono sul web, hanno centinaia di miglia di follower e producono quotidianamente contenuti) agli operatori dei servizi media. Questo significa che, oltre all'obbligo di rispettare norme etiche, scatta anche quello di registrazione.
Ma siamo sicuri che non sia già così? Prendiamo l'esempio più noto (anche se non è il top in classifica): Chiara Ferragni. Fenice, la società titolare del suo marchio, ha chiuso il 2022 con 14,2 milioni di euro di ricavi (+115% annuo) e un giro d'affari di 61 milioni (+134%). Tbs Crew Srl, che gestisce il suo blog e l'e-commerce The Blonde Salad e si occupa di talent e marketing, ha totalizzato 14,6 milioni di ricavi nel 2022 (+105%). Per il 2023 si prevede un giro d'affari complessivo delle società di 90 milioni di euro circa con utili netti pari a 8,5. Questo significa che Chiara Ferragni paga Ires, Irap, Iva, i contributi dei suoi dipendenti e la loro Irpef in quanto sostituto d'imposta. Identico discorso per Benedetta Rossi, la star del «fatto in casa», con la sua media agency da 3,8 milioni di fatturato. Idem per Khaby Lame, il tiktoker italo-senegalese con oltre 160 milioni di follower. Ormai è un brand internazionale tanto da essere testimonial di Meta e di Hugo Boss. Né si può presumere evasione da parte di Stardust, la social house da 20 milioni di fatturato, che annovera tra i fondatori il manager dei Måneskin, Fabrizio Ferraguzzo, e che tra i soci vede il gruppo editoriale Gedi (Repubblica e Stampa) con il 30 per cento.
Nel 2022 in Italia il giro d'affari degli influencer sui social è stato di 308 milioni di euro, stima la società di strategia digitale DeRev, e quest'anno salirà a 348 milioni con una crescita del 13 per cento. I comparti più redditizi sono: moda, gioco e sport. Basta qualche migliaio di follower per cominciare a guadagnare sia su Tik Tok che su YouTube, mentre su Instagram si parte da un centinaio di euro sempre per la stessa fan base. I listini prezzi, osserva DeRev, stanno diventando particolarmente generosi per chi ha meno di 200mila affezionati in quanto questo consente di targettizzare i messaggi pubblicitari associati allo streaming.
Dunque, l'obiettivo di Giorgetti sono ragazzi che con questa attività mettono insieme qualche migliaio di euro al mese (o anche di più, a seconda del seguito).
A vederla in questo modo, si comprende bene che gli obiettivi siano TikTok, Google (YouTube) e Meta (Instagram) su cui la web tax ha scarsa presa con 390 milioni di gettito nel 2022. Se agissero come sostituti d'imposta dei creator, come accade per gli affitti brevi, il discorso cambierebbe...
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