Ingroia nei guai per peculato. La disfatta del super moralista

I pm contestano all'ex collega rimborsi e indennità che si è assegnato da manager di una società pubblica siciliana

Ingroia nei guai per peculato. La disfatta del super moralista

Accusato di peculato, come un qualunque furbetto della pubblica amministrazione. Costretto a tornare in quello che per anni è stato il suo regno, la procura di Palermo, non per una rimpatriata ma nella veste amara di indagato con difensore al seguito. Furibondo, come un qualunque politico, perché la notizia del suo interrogatorio di ieri mattina non è rimasta segreta. Infatti chiede un'indagine sulla fuga di notizie. Dimentica, però, che ormai il pm non è più lui.

Antonio Ingroia, l'ex procuratore aggiunto di Palermo paladino di legalità e moralista per antonomasia, è indagato. E per uno dei reati più tipici della «casta», il peculato. Da amministratore unico di Sicilia e-Servizi - la società in cui lo ha piazzato il governatore di Sicilia Rosario Crocetta, dopo il flop dell'avventura politica con Rivoluzione civile (poi Azione civile) e l'addio alla toga da magistrato - avrebbe fatto il furbo, secondo i pm. Avrebbe infatti incassato circa 30mila euro di rimborsi per trasferte, facendosi pagare non solo le spese di viaggio (lui è residente a Roma, e lo era anche quando è stato nominato da Crocetta a capo della società che si occupa dei servizi informatici, ndr) ma anche i pasti. E soprattutto avrebbe avuto un'indennità di risultato di 117mila euro, legittima ma non compatibile con lo stato in cui versano le casse della sua società, che ha un utile di 33mila euro.

Un colpo all'immagine dell'Ingroia moralista. L'indagine è partita da una segnalazione della Corte dei conti. L'inchiesta, che riguarda il periodo 2014-2016, è guidata dal procuratore aggiunto Bernardo Petralia. L'ex pm, che adesso fa l'avvocato, era accompagnato dal suo legale di fiducia, Mario Serio. I pm lo hanno interrogato per un'ora e mezza circa. Ingroia si è difeso sottolineando sia la legittimità dei rimborsi sia quella dell'indennità di risultato. L'inchiesta comunque prosegue. Anche per accertare se i 117mila euro - non legittimi per i pm in quanto più del doppio dell'utile della società che è di 33mila euro - Ingroia se li sia auto-riconosciuti, come la norma gli consente.

Un colpo. L'ennesimo di una parabola discendente che da quando Ingroia ha lasciato la toga da pm non si ferma: il flop in politica, i problemi da avvocato perché si era presentato in aula (anche nel processo sulla presunta trattativa Stato-mafia) prima di giurare. E adesso la scomoda posizione di indagato. Non è la prima volta che la Corte dei conti lo mette nei guai per Sicilia e-Servizi. Già in passato i giudici contabili avevano contestato a Ingroia una serie di assunzioni. Ora questa nuova bordata. Una brutta macchia per un paladino della legalità. E infatti la reazione di Ingroia, affidata a una lunghissima nota, è furibonda. L'ex pm ricorda che è «una vicenda vecchia», perché polemiche sulla sua indennità di amministratore c'erano già state in seguito a un articolo dell'Espresso del 2015. Per quanto riguarda l'indennità di risultato l'ex pm ha manifestato «stupore», perché la contestazione si baserebbe su una «legge del 2006 abrogata nel 2008». Quanto ai rimborsi spese Ingroia rivendica la loro piena legittimità. «Ho fornito - scrive - tutti i chiarimenti alla procura. Restano lo stupore e l'amarezza per questa contestazione fondata su leggi non più in vigore già al tempo dei fatti e, in più, nel constatare che qualcuno ha dato in pasto alla stampa la notizia di questa indagine.

Ma siccome sono certo del riserbo mantenuto dai magistrati sono certo che la procura di Palermo saprà agire con la stessa energia e saggezza dimostrata dalla procura di Roma dopo la fughe di notizie sull'inchiesta Consip. È stupefacente che la notizia sia stata data dalle agenzie di stampa solo pochi minuti dopo che io ho lasciato gli uffici della procura».

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