Gli inserzionisti Rai bocciano Renzi sul canone tv: fa solo demagogia

Sassoli (Upa): abolirlo è demenziale Tra Pd e Calenda lo scontro continua

Gli inserzionisti Rai bocciano Renzi sul canone tv: fa solo demagogia

L o scontro Calenda-Renzi tracima dal caso Rai e diventa tutto politico, nonostante la telefonata tra i due venerdì. E la polemica canone sì-canone no continua ad infuriare. Scende in campo anche il presidente dell'Upa, che raccoglie i grandi inserzionisti pubblicitari, e boccia senza appello la proposta «demenziale, confusa, contraddittoria, demagogica, elettoralistica» e «l'accanimento nei confronti della Rai», accusando: «Renzi e i suoi non hanno idea di cosa sia il servizio pubblico. Pensano a una Rai di servizio alla politica». La scelta di abolire il canone, assicura, sarebbe «disastrosa». Evviva il canone, insomma. Grazie al quale, del resto, la Rai può permettersi di offrire spazi pubblicitari a minor costo per audience più estese, il che spiega anche l'entusiasmo dell'Upa.

Nuove bordate anche dalle opposizioni, tutte critiche - in diverse gradazioni - con la proposta del leader Pd. Il quale però incassa la soddisfazione di tornare a dettare l'agenda della politica, costringendo gli altri a commentare le sue iniziative: il ballon d'essai sulla Rai è servito a misurare le reazioni e a testare il metodo, ma non finisce qui: «Una proposta a settimana per far conoscere la nostra agenda», promette Renzi.

Sul merito, la lieve frenata di venerdì sera (diminuzione e non drastica abolizione del canone) è stata dovuta anche ai contraccolpi interni: se il «partito Rai», sempre ben radicato nel centrosinistra, è andato in fibrillazione, anche a Palazzo Chigi le reazioni non sono state entusiastiche. Soprattutto per ragioni politiche: l'accelerazione renziana aveva tra gli obiettivi principali quello di infilare due dita in un occhio a Mediaset e al mondo berlusconiano, per liberare la campagna elettorale del Pd dai sospetti di «inciucismo». Ma in tempi così precari, con decisioni complesse da prendere (da alcune importanti nomine al via libera alla missione in Niger), un rapporto disteso con la principale opposizione responsabile è più che mai necessario al governo Gentiloni. Che dunque vuole evitare tensioni superflue.

E poi c'è il caso Calenda, sempre più incandescente. Il ministro ha apertamente criticato la «estemporanea» sortita renziana sulla Rai, richiamando il Pd alla coerenza: se si vuole riformare il sistema abolendo il canone, si sia conseguenti e si vada verso la privatizzazione. «Il Pd esca dal Truman Show di promesse insostenibili e annunci ad effetto di questa campagna elettorale», tuona. «Offrire temi che durano lo spazio di un mattino non è il ruolo che spetta ad un centrosinistra che ha ben governato». Ma l'attivismo politico e mediatico del ministro, da tempo in polemica contro la «fuga dalla realtà» e le tentazioni «populiste» del Pd (dal caso Ilva ad alcune proposte economiche), inquieta il Nazareno, dove non sono sfuggiti i retroscena che parlavano di un Berlusconi tentato di giocare la carta Calenda in caso di impasse. E dalle file renziane trapelano reazioni irritate: il ministro «lavora per sé», non si candida perchè così potrà essere spendibile come «riserva della Repubblica» per eventuali larghe intese.

Lui reagisce con a muso duro: «Truppe renziane contro di me? Un film già visto ogni volta che devio dalla linea ufficiale o esprimo pensiero autonomo. Triste e squallido, ma tutto sommato innocuo. Anche perché ho detto con grande chiarezza dove mi colloco politicamente: nel centrosinistra». Ma se si continua, conclude, «ci faremo molto male».

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