
«Adesso. Adesso. Li rivogliamo adesso. Non li abbandoneremo a Gaza. Non ci fermeremo finché tutti gli ostaggi non torneranno indietro. Adesso», gridano dai megafoni, fra i tamburi, le bandiere e i cartelli con i volti di chi manca da troppo tempo. «La guerra non porterà indietro gli ostaggi. Li ucciderà», tuona Einav, la mamma di Matan Zangauker, 25 anni, in mano ad Hamas ormai da 526 giorni. Le sue parole risuonano davanti al quartiere generale della Difesa di Tel Aviv, dove i parenti dei rapiti stazionano da un anno e mezzo con le loro tende, cibo per chiunque voglia portare sostegno e conforto, le foto dei rapiti a ricordare che nella Striscia restano ancora 59 ostaggi e in gran parte sono giovani, giovanissimi, dopo la faticosa liberazione di donne e anziani avvenuta in questi mesi che sembrano infiniti. «I nostri cari devono tornare tutti insieme. Ora», insiste Einav, consapevole che lo stillicidio del rilascio a tappe minaccia la vita di quei 24 ostaggi ancora in vita sui 59 che restano a Gaza. Le sue parole risuonano potenti poco prima che migliaia di israeliani si riuniscano per l'ennesimo sabato in Piazza degli Ostaggi, un luogo mistico ormai per Israele, dove l'intera nazione soffre, prega, impreca, piange e spera ormai da oltre 500 interminabili giorni.
Nelle stesse ore Hamas ha annunciato che i colloqui per prolungare la tregua o passare alla seconda fase «sono falliti». Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha dato l'avvio a consultazioni al rientro dei negoziatori da Doha, in Qatar, dove sono proseguiti finora senza esito i tentativi di trovare un accordo con gli integralisti islamici. Il rischio che il conflitto possa riprendere resta alto. Il tempo è uno spartiacque fra la vita e la morte. Perché a Gaza intanto si continua a morire. Un raid israeliano ha fatto almeno 9 vittime ieri, tra cui almeno tre giornalisti.
Tra la folla oggi c'è anche Orna Banai, 58 anni, la comica più famosa di Israele. «Di solito ci fa ridere commenta Adva, anche lei qui per sostenere le famiglie degli ostaggi Ma oggi è in questa piazza per condividere il nostro dolore e la nostra speranza. Combatteremo fino alla fine. Non ce ne andremo da qui finché non sarà liberato l'ultimo ostaggio», continua Adva. Orna è stata per anni la star di Erets Nehederet, un Paese meraviglioso, lo show satirico più famoso del Paese. Non ha parenti fra gli ostaggi, è qui da cittadina comune ma ci racconta in una composta commozione che «i rapiti mancano come se fossero persone di famiglia e quando vengono liberati li festeggiamo come se fossero persone di famiglia».
Isac Horn è seduto su una sedia, reduce da un trapianto di reni. Ma ha a voluto esserci lo stesso. Uno dei suoi figli è tornato da Gaza dopo la prigionia, un altro - Eitan, 38 anni - è ancora nella Striscia in mano ad Hamas. «Siamo a un passo dalla ripresa del conflitto ammette Ma il governo deve sapere che c'è un'altra via». Le voci contro l'esecutivo non mancano. «Sembra che Netanyahu voglia tenere il governo più che finire la guerra», dicono ai microfoni riferendosi al premier e ai suoi guai giudiziari. Qualcuno fa appello a Donald Trump: «Deve premere per fermare questo conflitto e riportare a casa tutti i nostri cari». «Ma il tempo stringe. Devono tornare tutti insieme. Adesso», è il mantra che si ripete. La piazza si divide quando si tocca il tema delle vittime palestinesi. «Non siamo noi che abbiamo voluto la guerra», dice Adva.
Ma Nurit, 53 anni, di Tel Aviv, cambia tono: «È una tragedia ogni vita persa, che sia israeliana o palestinese. Deve morire chi ha ucciso, non i civili». Chiediamo di poter parlare con i parenti di altri rapiti. Ci dicono: «Le mamme le riconosci dalle occhiaie. Ormai dormono due ore a notte da più di 500 giorni».
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