Hanno nomi bellissimi e culle addolcite da pupazzetti e peluche, che rendono un po' meno angoscianti tubicini e diagnosi. Nei reparti di neonatologia ci sono tanti Indi. Con patologie altrettanto gravi. Ma di loro e della loro brevissima vita non si scrive sui giornali, non si discute nei tribunali. Come è giusto che sia.
Il momento in cui sospendere i trattamenti, o non iniziarli neppure, viene deciso nell'intimità dei reparti ospedalieri. Con sofferenza, molta, ma senza clamore. Consapevoli che (clinicamente ed eticamente) è la scelta giusta da prendere «nell'interesse del minore» per evitargli sofferenze inutili. Non esistono numeri ufficiali ma i casi di neonati con patologie inguaribili sono due o tre ogni mille nati vivi. «C'è una grossa nebulosa sui numeri - spiega Marcello Orzalesi, segretario del gruppo di Cure palliative perinatali della Società italiana di neonatologia - ma ogni primario di neonatologia si è trovato a dover gestire casi come quello di Indi. Io in cinque anni al Bambin Gesù ne avrò affrontati più di 20 e ho seguito i genitori anche dopo la morte del bambino». Studi e statistiche su quanti trattamenti siano stati sospesi non esistono, ma un documento redatto dal ministero della Salute in base ai dati raccolti da Franca Benini, responsabile del Centro regionale Veneto di Terapia del Dolore, parla di 1.200 minori all'anno che necessitano di cure palliative pediatriche. Di questi, 650 presentano una patologia cronica inguaribile con condizioni severe e 60 in un anno sono deceduti in ospedale. Fra loro anche casi in cui è stata necessaria la sedazione palliativa.
«Ovviamente per prendere una decisione su cosa è meglio fare non ci si basa su un algoritmo e via. Ogni caso viene valutato con profonda attenzione - precisa Alberto Giannini, responsabile del Comitato etico della Società di anestesia e rianimazione Siaarti - È sbagliato dire che vengono sospese le cure. Piuttosto si può dire che un trattamento va rimodulato quando viene meno la sua proporzionalità, cioè il bilancio tra l'appropriatezza della cura e la gravosità che comporta». E in Italia su questo argomento etica, legge e deontologia dicono la stessa cosa. Non è poco. Casi che suonano come eccezionali ai più, fanno parte della pratica medica. Nel prendersi cura del paziente è doveroso, quando nessun'altra via è percorribile, anche accompagnarlo alla morte». La priorità, anche nelle Terapie intensive pediatriche, è evitare trattamenti futili e dolorosi. Anche quando le madri chiedono: «Dottore, faccia qualsiasi cosa». C'è un'etica che mette un limite all'impiego dei farmaci e della tecnologia. Gino Gobber, presidente della società di cure palliative Sicp, torna a sostenere l'esigenza di centri specializzati: «Da 13 anni è in vigore la legge 38 che stabilisce i criteri per l'erogazione delle cure palliative. Anche da altri Paesi dell'Unione il testo è considerato ottimo, ma nella pratica quotidiana c'è ancora molto da fare per assicurare a tutti i cittadini il diritto di ricevere una terapia di accompagnamento e sollievo».
Basti pensare che gli hospice pediatrici sono solo 8. Eppure servirebbero per evitare i casi dolorosi e eclatanti del passato. Come quello di Davide Marasco, una sorta di caso Indi al contrario: il bimbo era nato nel 2008, senza reni. I genitori non volevano fosse trattato ma i medici sì. Risultato: ai genitori fu tolta la responsabilità sul bambino ma il piccolo morì dopo poche settimane.
Il caso fu giudicato come accanimento terapeutico. Da allora di strada ne è stata e le commissioni etiche hanno lavorato molto sul rapporto di fiducia tra equipe medica e famiglia. Per capire cosa è giusto fare e lasciare da parte l'irrazionalità.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.