Tra attacchi di droni, piccole avanzate, ritirate strategiche e dichiarazioni contrapposte, che la guerra in Ucraina si trovi in una fase di drammatico stallo sembra evidente. Come pare altrettanto evidente che qualcosa all'interno dell'establishment russo stia scricchiolando pesantemente. L'invasione in Ucraina non è andata come si auguravano al Cremlino. La guerra lampo è diventata una guerra di logoramento, lunga e incerta. Il mondo occidentale si è schierato apertamente contro Mosca mentre i suoi alleati storici nicchiano sull'appoggio militare. E l'indiscrezione che arriva dalla Moldavia, se confermata, mette ancor di più in agitazione lo stato maggiore russo: il leader ceceno Ramzan Kadyrov sarebbe stato avvelenato e le sue condizioni non sono buone.
Kadyrov, luogotenente di Putin in Cecenia e da sempre vicinissimo allo Zar, non era presente al discorso di Putin al parlamento russo per l'anniversario del conflitto e in molti si erano chiesti il perché della sua assenza. Il motivo sarebbe uno dei tanti, non troppo misteriosi, avvelenamenti decisi dal Cremlino contro oppositori ma anche contro alleati non ritenuti più funzionali al regime. Lui, violento, estremista, sanguinario, molto più che un falco, sarebbe entrato in conflitto con i vertici dell'esercito accusati di essere troppo moderati. Dopo l'episodio si sarebbe rivolto a un nefrologo arrivato a Grozny dagli Emirati Arabi per paura di affidarsi a un medico potenzialmente vicino a Mosca. Solo nei giorni scorsi, Kadyrov aveva denunciato che il comandante delle forze cecene in Ucraina Apty Alaudinov era stato avvelenato con una lettera impregnata da un agente tossico.
Un segnale, l'ennesimo, parecchio negativo per Mosca e per la sua campagna in Ucraina. Un altro, come riporta il New York Times, arriva da Vuhledar. Nelle tre settimane di battaglia in città, le forze russe hanno perso almeno 130 carri armati, distrutti da mine, missili e dalle azioni dei soldati dei soldati ucraini. Vulhedar è rimasta in mano ucraina e inoltre, secondo le fonti, l'esercito russo avrebbe commesso gravi errori sul campo esponendosi a quello di Kiev che sfruttando l'impreparazione del nemico ha avuto la meglio. Una battaglia lunga e complessa porta giocoforza a Bakhmut, epicentro degli sforzi di entrambi gli eserciti sul campo. «Ci sono ancora 4.500 civili tra cui 48 bambini in città», Tetiana Ignatchenko, portavoce dell'amministrazione militare regionale del Donetsk, che ha invitato chi è rimasto in città a lasciarla quanto prima anche se «la situazione è estremamente pericolosa per i civili». Il capo della brigata di mercenari Wagner Prigozhin dice che «lo spargimento di sangue aumenta di giorno in giorno, decine di migliaia di soldati stanno dando vita a una resistenza accanita». Ma mentre Kiev continua a sostenere la resistenza della città, un consigliere di Zelensky, Alexander Rodnyansky, apre a un'ipotesi mai presa in considerazione prima: «Le truppe ucraine potrebbero ritirarsi strategicamente», ha detto. «I nostri militari ovviamente soppeseranno tutte le opzioni, non sacrificheremo tutta la nostra gente per niente», ha aggiunto.
Intanto il braccio destro del presidente Mykhailo Podolyak ha negato responsabilità ucraine nell'attacco con i droni dell'altro ieri in Russia. «L'Ucraina non colpisce il territorio della Russia», ha detto. «Non gli crediamo», ha risposto il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov. Quel che è certo è che la scorsa notte ci sono state numerose esplosioni in Crimea. Matrice russa, per gli ucraini, l'opposto secondo Mosca. I droni restano comunque centrali nel conflitto e secondo il consueto report del ministero della Difesa britannico, l'esercito russo starebbe continuando a lanciare i suoi droni kamikaze sull'Ucraina ma Mosca starebbe per esaurire le proprie scorte.
Nel frattempo, Kiev lancia nuovamente l'allarme: sono diventate cinque le portaerei russe con missili Kalibr schierate nel Mar Nero. Stallo e problemi, rimangono. Così come la minaccia della Russia, che nonostante le difficoltà, rimane forte.
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