Il Kirghizistan piomba nel caos. Annullate le elezioni contestate

Parlamento in fiamme, un morto e quasi 700 arresti. Il premier si dimette. Nuova spina nel fianco per Mosca

Il Kirghizistan piomba nel caos. Annullate le elezioni contestate

Un terzo fronte facendo immeritata grazia del quarto, provocato dall'avvelenamento del leader dell'opposizione russa Aleksei Navalny, e del quinto, rappresentato dal fronte congelato ma sempre sanguinante dell'Ucraina orientale si è aperto per Vladimir Putin in quello che al Cremlino chiamano diplomaticamente «il vicino estero», ovvero le Repubbliche dell'ex Unione Sovietica. Mentre i bielorussi non ne vogliono sapere di accettare la vittoria truffaldina del «presidente eterno» Aleksandr Lukashenko e nel Caucaso armeni e azeri si prendono a cannonate per la sovranità sul Nagorno-Karabakh, anche nella remota Asia Centrale, e precisamente nel Kirghizistan, esplode il caos nelle piazze.

E che caos. Come già accaduto in Bielorussia, dopo la proclamazione di risultati elettorali che hanno favorito i candidati vicini alla Russia, la folla ha invaso le strade della capitale Bishkek e delle altre principali città di questa Repubblica montagnosa incastonata tra Kazakistan, Cina, Tagikistan e Uzbekistan. E non si è limitata a manifestare il proprio rifiuto dei risultati: ha attaccato e dato alle fiamme il Parlamento, ha liberato dalla prigione l'ex capo dello Stato Almazbek Atambayev inviso a quello attuale filorusso Sooronbai Jeebenkov, e ha preso il controllo della tv di Stato, dalla quale è stato diffuso un comunicato che denuncia gravi irregolarità nel voto e pretende la formazione di un nuovo governo, le dimissioni immediate di Jeebenkov e nuove elezioni. La polizia ha reagito con cannoni ad acqua, lacrimogeni e sparando proiettili di gomma e granate stordenti: il bilancio dei disordini è di un morto (un 20enne) e circa 700 feriti. Pressata dalla piazza, la commissione elettorale ha deciso di invalidare le consultazioni appena tenute e in serata si è dimesso il premier, Kubatbek Boronov. Al suo posto interim affidato a Sadyr Japarov, ex parlamentare d'opposizione scarcerato dai ribelli.

La situazione nel Kirghizistan ricorda quella in Bielorussia, ma presenta alcune importanti differenze. Il Paese dell'Asia Centrale, i cui sei milioni di abitanti sono musulmani sunniti piuttosto laicizzati, non è una dittatura mascherata da democrazia parlamentare come quella di Minsk: qui esiste caso unico nella regione - un'effettiva libertà politica, e numerosi partiti si confrontano piuttosto liberamente. Il problema è semmai quello di una notevole turbolenza politica (due colpi di Stato in dieci anni) e di una diffusissima corruzione, della quale secondo l'opposizione si avvantaggiano i partiti filorussi per aggrapparsi al potere: i voti vengono comprati in denaro, gli elettori intimiditi e minacciati se non «votano bene», i politici dell'opposizione ricattati nei più vari modi. Oltre a questo, va ricordato che il Kirghizistan pur prezioso per Mosca che vi mantiene una propria base militare riveste un ruolo meno strategico della Bielorussia e della stessa Armenia, e subisce quindi un controllo meno stringente da parte del Cremlino.

Il presidente Jeebenkov ha comunque affermato ieri di tenere sotto controllo il Paese, e il portavoce di Putin Dmitry Peshkov ha auspicato che un negoziato tra le parti ricomponga pacificamente la situazione. Peshkov ha ricordato che Mosca considera il Kirghizistan un Paese amico, ma fonti del governo russo hanno chiarito che nessuno da Bishkek ha chiesto ai russi di intervenire per «normalizzarlo» come invece ha fatto Lukashenko da Minsk.

Putin sembra molto più preoccupato di quanto accade in Bielorussia: ieri la Cancelliera tedesca Merkel ha ricevuto a Berlino la leader dell'opposizione Svetlana Tikhonovskaya e subito Peshkov ha gridato all'interferenza negli affari interni di un Paese (la Bielorussia) che non è il suo.

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