Lui lo annuncia come «un intervento molto difficile, tra i più difficili della mia carriera». E di certo raramente, nelle aule parlamentari, si era sentito un discorso tanto chiaro e duro sulla «guerra dei trent'anni tra magistratura e politica» e sulla «crisi devastante che sta investendo il potere giudiziario» in Italia, che attraversa «il suo momento più tragico». Perché la «correntocrazia del 2021 è come la partitocrazia del 1991», una degenerazione del potere da sanare.
Matteo Renzi interviene in Senato, poco prima del doppio voto di fiducia che ha approvato la riforma Cartabia del processo penale, e il suo è un attacco frontale non solo all'uso politico della giustizia e allo «strapotere vergognoso delle correnti» che imprigiona l'ordine giudiziario, ma anche un j'accuse contro una classe politica che ha accettato la «subalternità» nei confronti dei pm, delegando a loro «la scelta di chi può fare politica e chi no» lasciando che «un avviso di garanzia si trasformasse in condanna». L'ex premier sferza quella sinistra che «ha immaginato di poter trarre vantaggio dalla vicende giudiziarie che colpivano la destra, strumentalizzandole»; e anche una destra che «ha risposto con le leggi ad personam» e non con le riforme necessarie. «Tanti di noi - dice - hanno rinunciato al gusto della verità per paura» di essere colpiti dallo strapotere giudiziario.
Da destra comunque la requisitoria renziana contro la degenerazione giustizialista italiana viene condivisa e applaudita, mentre a sinistra c'è chi si risente per le bordate ricevute: dal Pd, Anna Rossomando dice che «dobbiamo chiudere una stagione di regolamenti di conti tra poteri dello Stato, ma questo non si affronta aprendo una nuova stagione di regolamenti di conti». Da Forza Italia, invece, Giacomo Caliendo, riconosce che «Matteo Renzi ha posto una questione sulla quale non possiamo far finta di nulla».
La questione posta da Renzi è che la riforma Cartabia è sì «un ottimo primo passo avanti» e «perché ci toglie dal giustizialismo profondo della gestione Bonafede». Ma è solo un «primo passo», appunto, e non basta a risolvere la crisi profonda della giustizia italiana. «Le guarentigie dei parlamentari - dice - sono costituzionalmente garantite, ma quotidianamente ignorate da un utilizzo mediatico delle indagini. Se non utilizziamo il tempo, da qui al rinnovo del Csm nel 2022, per scrivere una pagina nuova, non importa chi sarà il prossimo ad essere coinvolto: la vera vittima della nostra inerzia sarà la credibilità delle istituzioni, e la dignità della magistratura». Una dignità oggi minata dalla «disgregazione in atto tra gli stessi magistrati, che sta facendo avverare la profezia del direttore di Radio Radicale Massimo Bordin: finiranno per arrestarsi tra loro», dice ricordando lo «scontro sconvolgente di carte bollate in corso tra due protagonisti del pool di Mani Pulite come Greco e Davigo». Il leader di Italia viva ricorda, con qualche ironia, anche il proprio caso personale di bersaglio di indagini a sfondo politico: «Sono intervenuto per dire che c'era una Procura (quella di Firenze, che ha bersagliato di inchieste lui e la sua famiglia, ndr) che stava oltrepassando i limiti dell'azione giudiziaria e per tutta risposta, subito dopo, mi sono preso altri due avvisi di garanzia dalla medesima Procura».
Serve «coraggio» per reagire, ricorda: «Se un magistrato dice che bisogna creare un cordone sanitario contro un senatore (lo disse l'ex Csm Nello Rossi dello stesso Renzi, ndr) a preoccuparsi non dovrebbe essere quel senatore, ma tutto il Senato».
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