
A volte l'Europa si perde nel campanilismo più assurdo per non dire bieco. La diffidenza con cui i principali governi europei si sono posti di fronte all'ipotesi di un vertice a Roma tra il presidente Trump, i vertici della Ue e, appunto, i capi di governo dei ventisette sulla questione dei dazi e della guerra in Ucraina appare del tutto inopportuna. La freddezza e i sospetti di Parigi, Madrid, Berlino e Varsavia francamente non hanno senso. Anzi, addirittura somigliano tanto ad un tentativo di ridimensionare la missione di Giorgia Meloni a Washington dove non ci sono stati dei risultati nei negoziati ma si è aperta l'opportunità di un chiarimento tra le due sponde dell'Atlantico. Appunto, un possibile incontro nella capitale italiana tra il vertice Usa e quelli dei paesi europei. Tirarsi indietro ora rischia solo di offrire un alibi al presidente Usa che non sembra morire dalla voglia di allargare l'incontro con la Meloni agli altri leader europei.
Sarebbe un errore madornale perché offrirebbe l'immagine plastica di una Ue divisa che probabilmente è l'obiettivo di The Donald.
Inoltre sarebbe uno scorno che l'Italia e il suo governo non si meritano. Anche perché quando prima Starmer e poi Macron hanno convocato la riunione dei volenterosi sull'Ucraina prima a Londra e poi Parigi Giorgia Meloni, sia pure riluttante e poco convinta, ha assicurato la sua presenza. Non si è neppure sognata di disertare l'incontro per una questione di galateo diplomatico, di buon vicinato, ma soprattutto per dare l'idea di un'Europa che al di là di toni, accenti, sfumature o senso di opportunità nella solidarietà a Kiev ha sempre dimostrato di essere unita (a parte Victor Orban).
L'appuntamento di Roma, quindi, è l'occasione per nulla scontata di offrire un'immagine di compattezza dei 27 ad un presidente americano che non ha mai amato l'Unione. L'ha sempre osservata di sottecchi per cui è un momento che non va sprecato. Ci possono essere differenze, valutazioni diverse, ma far naufragare tutto per la scelta della sede è assolutamente ridicolo. E rischia di dare solo argomenti ad un'ipotetica internazionale sovranista.
Invece di soffermarsi sulla cornice scenografica - e quella di Roma è impareggiabile - i 27 dovrebbero trovare un'intesa in ambito Ue per mostrarsi uniti, per convincere tutti gli interlocutori che la presidente della Commissione conta non perché è l'inquilina dei Palazzi di Bruxelles ma perché rappresenta la Ue in ogni angolo d'Europa e del mondo. Badando più ai risultati, quindi, che non al posto.
In fondo l'incontro di Roma, se si farà, sarà una prova del nove per tutti. Per The Donald perché verrà finalmente fuori qual è il suo vero gioco. Se l'operazione sui «dazi» è l'inizio di un trattativa che può avere un esito positivo trovando un punto d'incontro a metà strada che non umili nessuna delle due parti; o se, invece, quella di Trump è una nuova dottrina geopolitica che nel rapporto con gli Usa mette l'Europa sullo stesso piano o, addirittura, al di sotto degli altri soggetti globali sottovalutando o rimuovendo i valori che sono alla base dell'alleanza tra le democrazie occidentali.
Sarà un banco importante anche per verificare se in una fase complicata come l'attuale - due conflitti da chiudere, una guerra commerciale e un papato che finisce e un altro che deve cominciare - l'Europa riuscirà ad esprimere una sua soggettività, a rispondere unita a due aggressioni (una militare e una economica) mettendo da parte gelosie, particolarismi, superando le barriere e gli egoismi che ne minano alla base le potenzialità. Insomma, si verificherà se le sue istituzioni e i suoi membri sono all'altezza delle sfide che gli sono state lanciate in ultimo anche da Donald Trump.
Pure la Meloni dovrà dare delle risposte. Dovrà spazzare via i sospetti strumentali di chi in Europa vuole farla apparire o pensa che sia una quinta colonna di Donald Trump, un Orban più convincente e affidabile. Diffidenze che al momento sono del tutto campate in aria, frutto di calcoli di parte, di invidie personali e di residui ideologici.
Lasciando da parte le immagini romanzate di ponti per unire le due sponde dell'Atlantico o di ponti levatoi per far entrare l'avversario, il punto è che la Meloni si è imposta una sfida ambiziosa e per nulla semplice: quella di tenere uniti in un mondo che esplode non solo l'Europa ma anche l'Occidente. Di continuare a dare un senso ad entrambi.
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