Lo chiamano crunch point, ed è il vero incubo di Ue e Nato. Anche perché il temuto «punto di rottura», ovvero la fine dell'apparente unità europea sull'Ucraina, minaccia di palesarsi già a ottobre. A favorirlo contribuiranno due elementi. Il primo sarà l'effetto del mix costo energetico, inflazione ed effetto boomerang delle sanzioni, sui portafogli degli europei. Il secondo sarà la minor attenzione al tema Ucraina imposta all'amministrazione Biden dall'insidioso appuntamento del voto midterm. E a rendere fatale la congiuntura potrebbe aggiungersi la Russia azzerando le forniture di gas e mettendo in ginocchio una Germania e un'Italia lontane dall'indipendenza energetica da Mosca. A quel punto l'Europa tornerebbe alle divisioni precedenti il 24 febbraio. Mentre Paesi Baltici e dell'Est guiderebbero, Polonia in testa, il fronte «interventista», Germania e Francia, con la probabile adesione dell'Italia, tornerebbero a posizioni «negoziali». Ma il problema è l'inconcludenza di entrambi gli schieramenti. Quello interventista, perorato con slogan irrealizzabili come la ripresa della Crimea, è senza speranze. Nonostante le forniture di armi Usa pari a 11,5 miliardi di dollari (con l'aggiunta di 3 miliardi nei prossimi due anni) l'Ucraina non sarà mai in grado di ribaltare il conflitto. Né nel Donbass, dove la massa critica dell'esercito russo resta decisiva, né su quel fronte di Kherson dove l'offensiva ucraina resta un miraggio. L'unico risultato dell'interventismo sarà dunque l'imposizione di nuove carneficine a un esercito ucraino già allo stremo. Ma l'assenza di un proposta negoziale capace di venir valutata dal Cremlino rende irrilevante anche il fronte della trattativa. Una Ue consapevole dei rischi di un conflitto combattuto sul proprio continente e degli interessi dei propri cittadini avrebbe usato questi sei mesi di guerra per stillarne una. Anche a costo di contrapporsi a Washington. Invece ha scelto la strada dell'irrilevanza politica e strategica, aggravata dall'accondiscendenza con cui accetta il presunto ruolo di paciere di Recep Tayyp Erdogan, presidente turco che usa il conflitto ucraino alla stregua di un suk in cui mercanteggiare i propri interessi. Per questo il «punto di rottura» minaccia di segnare una doppia débacle.
Quella dell'Ucraina, condannata a restar prigioniera della guerra per molti anni, e quella di un'Europa affossata economicamente e lacerata politicamente da un conflitto in cui non ha saputo svolgere alcun ruolo negoziale.
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