L'avventura nella moda oltre il Covid: "Da bergamasche non abbiamo mollato"

La giornalista presenta Crida, il marchio di abiti prodotto con un'amica

L'avventura nella moda oltre il Covid: "Da bergamasche non abbiamo mollato"

Cristina Parodi annuncia la nascita di Crida, marchio d'abbigliamento femminile ideato e prodotto da lei in tandem con un'amica che si chiama Daniela Palazzi e come lei vive a Bergamo, città martire del coronavirus. Inevitabile chiederle come le sia venuto in mente e lei che è notoriamente gentile e poco incline alla polemica reagisce rispondendo che sentendosi bergamasca nell'anima non intende archiviare il sogno di un nuovo mestiere a 50 anni suonati.

Chi è l'altra metà di Crida?

«Fa parte di quella schiera di donne che ho conosciuto quando 25 anni fa sono venuta ad abitare a Bergamo e che mi hanno enormemente aiutato perché ero sempre in giro, sempre fuori casa, sempre lontana. Lei ha uno stile innato e naturale che ammiro molto. Da qualche anno a questa parte mi capitava di vederla con dei bellissimi abiti in seta che io non avevo e non trovavo in giro. Così le ho chiesto informazioni e lei mi ha risposto serafica Ma questi li faccio io, cioè li disegno, prendo il tessuto e vado dalla sarta a farli realizzare. Me he ha regalato uno ed ero felicissima...».

Da qui al lancio di una linea ce ne corre...

«Ben presto ci siamo rese conto di aver individuato uno spazio di mercato da occupare. I nostri sono vestiti chic ma semplici e portabili a qualsiasi ora. Un anno fa di questi tempi ci siamo dette: proviamo. In tre mesi abbiamo messo insieme una piccola capsula di modelli, abbiamo avviato la produzione e trovato uno showroom. Con nostro grande stupore a febbraio fioccavano gli ordini, le reazioni erano molto positive e noi felicissime. Poi...».

Poi è scoppiata la pandemia. Cosa avete fatto?

«Per Crida poco o niente: gli ordini venivano cancellati e noi qui a Bergamo avevamo ben altro a cui pensare. Io per due mesi non ho fatto altro che lavorare per Cesvi, una Ong bergamasca presente in 23 Paesi del mondo. Collaboro con loro come ambasciatrice da una ventina d'anni. Fanno cose pazzesche. Nelle loro Case del sorriso ospitano gli orfani dell'Aids in Africa, i bambini di strada in Sudamerica e quelli che in India costruiscono i mattoni. Qui in Italia sono meno noti perché grazie al cielo finora non avevamo un gran bisogno di aiuti. Insomma una mattina ho telefonato al Cesvi e ho chiesto: cosa facciamo? In due mesi abbiamo raccolto cinque milioni di euro».

Con questi soldi cosa avete fatto?

«Abbiamo comprato mascherine quando non si trovavano a pagarle oro, ventilatori polmonari, una tac e un frigorifero per l'ospedale degli alpini, letti di degenza, camici, caschi, calzari, di tutto: quattro milioni di cose utili e prontamente consegnate dove servivano. Il resto è stato impiegato in una rete sociale per aiutare gli anziani».

Crida in tutto questo?

«Per due mesi ho vissuto su un altro pianeta, ma a fine aprile ho cominciato a riaprire un po' gli occhi. Con Daniela ci siamo dette che da brave bergamasche non avremmo mollato. Tanto per cominciare abbiamo deciso di devolvere il 10 per cento delle vendite online al Cesvi perché Bergamo è al centro del nostro cuore. Poi abbiamo lavorato sul progetto di comunicazione e sulla nuova collezione».

Armani ha detto che la moda deve ritrovare ritmi umani. Lei cosa ne pensa?

«Non potrei essere più d'accordo. Sono assurdi certi prezzi: 2500 euro per un vestito in poliestere fatto in Romania. Noi nel nostro piccolo facciamo tutto in Italia e con tessuti naturali, ma costiamo la metà della metà».

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