Un leader amato per la sua empatia. La piazza di Silvio palpitava di un'umanità mai vista a sinistra

Non sanno quanta umanità si sono persi. Non che quanti lo hanno odiato cronicamente e ferocemente da sempre e per sempre dovessero sentirsi a lutto o scossi proprio ora, certo

Un leader amato per la sua empatia. La piazza di Silvio palpitava di un'umanità mai vista a sinistra
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Non sanno quanta umanità si sono persi. Non che quanti lo hanno odiato cronicamente e ferocemente da sempre e per sempre dovessero sentirsi a lutto o scossi proprio ora, certo. Le conversioni in punto di morte sono sempre incerte, anche per chi resta. Ma forse, se dopo una vita in trincea i cosiddetti anti-Cav avessero permesso non si dice all'obiettività, ma almeno alla curiosità sociale di fare capolino dal muro di astio ideologico che li ha accecati per trent'anni, ieri finalmente avrebbero capito qualcosa di Silvio Berlusconi. E soprattutto dell'Italia che gli ha voluto bene.

Che non rientra per nulla nel vestito di disprezzo che la sinistra le ha cucito su misura. La narrazione di Berlusconi pifferaio magico che ha scientificamente obnubilato il popolo bue con due soubrette scosciate in tv, il mito della ricchezza e quattro calciatori, è dura a morire. Ci è stata ripetuta così tante volte da fare male. A lui in primo luogo, uomo a cui piaceva piacere e non si è mai rassegnato all'idea di essere divisivo. Ma anche e soprattutto ai milioni di persone che per un motivo o per l'altro lo hanno ammirato e stimato, adorato e invidiato, creduto e apprezzato, sia incrollabilmente sia a sprazzi, sia mossi da fede messianica sia con volubile interesse di parte. Sono quegli elettori, cittadini (persone) che sono stati insultati, e che ieri in Duomo hanno voluto salutare chi invece non li ha giudicati mai.

Perché in fondo, ben più a fondo degli slogan e delle battaglie politiche, della paura dei comunisti e della lotta contro le tasse, Silvio Berlusconi è stato amato per la sua umanità. Gli storici si divideranno eternamente sul suo ruolo e la sua eredità politica, poco importa farlo qui e ora. Ma non è un caso se ieri, nel momento più intimo e insieme più intensamente comunitario di una vita vissuta sul palcoscenico, tutto questo - la politica, il marketing, la comunicazione - ha lasciato spazio alla pura umanità. Lo ha ricordato il vescovo di Milano nella sua omelia, ma si respirava in ogni centimetro quadrato della piazza. Sia tra chi in chiesa lo aveva incrociato sul suo percorso professionale, sia tra chi fuori, sotto il caldo cementizio di una città insolitamente poco indaffarata, gli ha voluto riconoscere un tratto tanto ignorato dalla sinistra quanto apprezzato dagli elettori e dai cittadini (persone): la simpatia. Che non significa banalmente la brillantezza di battuta e l'aria dissacrante, la generosità e la gentilezza, ma la capacità universale di entrare in sintonia con loro. Di condividere con gli italiani i sogni così come le paure, i guizzi e i difetti.

In piazza ieri ci saranno stati evasori fiscali. Ci saranno stati fedifraghi e arricchiti, intrallazzoni e cazzoni, squali e analfabeti. Statisticamente, ci sono in ogni piazza. Ma di sicuro in quella piazza c'erano anche mariti irreprensibili e contribuenti precisi, laureati e professionisti, gente che fatica con le bollette e volontari. Questa è la chiave per capire la grandezza di Silvio Berlusconi: il talento innato di attrarre chiunque, perché chiunque si sentiva intrigato, capito e forse un po' perdonato. Mentre la sinistra stringeva sempre di più un cappio di rigore moralistico e intransigenza su vizi e presunti vizi - se pensi che il fisco sia eccessivo sei egoista, se hai dubbi sull'immigrazione sei razzista, se hai la fissa delle donne sei sessista, se guardi il calcio sei un troglodita, se ti fai i ritocchini sei un vanitoso superficiale -, dall'altra parte ogni debolezza trovava una baia sicura di libertà e accondiscendenza.

Anche su questo si discuterà per sempre, e ci si dividerà fra chi reputa la berlusconiana arte di conquistare il cuore altrui un dono e chi invece un'abietta mancanza, perché un leader politico deve essere per prima cosa rigoroso, non attrattivo. È il suo destino, l'uomo a cui piaceva piacere dividerà di nuovo.

Ma su una cosa nessuno può discutere: in quella piazza di cori da stadio più potenti dei canti gregoriani, di abiti gessati, pettinature perfette e generazioni incrociate, c'era più umanità genuina di quanta la sinistra ne abbia mai saputa capire, riunire, apprezzare.

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