L'ultima peripezia linguistica è ad opera di Enrico Letta. Che dopo giorni di estenuante silenzio, in cui deve aver incessantemente pensato come esprimersi, ha relegato il presunto omicidio di Saman Abbas nella categoria "femminicidio". "Da parte nostra c'è una condanna durissima a quello che sembra essere un efferato femminicidio", ha detto ieri mattina ai microfoni di Coffee break su La7. "Non c'è alcuna possibilità di tollerare queste vicende, non metto in discussione la necessità di impegnarsi tutti affinchè le regole vengano rispettate da tutti". Non una parola sulla matrice religiosa del crimine, non una parola sul fondamentalismo islamico che spinge i genitori a organizzare matrimoni combinati e a punire le figlie che si ribellano. A sinistra il segretario piddì non è l'unico ad avvitarsi sulla lingua italiana pur di non chiamare per nome la furia islamista che in Italia ha tolto la vita a un'altra ragazza. È come se tutti quanti avessero paura a pronunciare la parola islam.
Se si scorrono le dichiarazioni degli ultimi giorni appare evidente l'imbarazzo della sinistra davanti al caso della giovane di Novellara. La prima reazione è stata il silenzio. Ne abbiamo scritto i giorni scorsi. Un silenzio colpevole e complice. Ora però, incalzati dal centrodestra, i soloni dell'integrazione a tutti i costi si sono visti costretti a prendere posizione. Il risultato è stato a dir poco catastrofico. Ecco alcuni esempi tra i democratici: "Se questa vicenda sarà confermata come femminicidio, andrà trattato con la massima durezza" (Enrico Letta); "intollerabile che nel nostro Paese, nella patria dei diritti, esistano zone d'ombra in cui si applicano 'leggi' tradizionali parallele e sanguinarie" (Debora Serracchiani); "La vicenda è inquietante e nessun alibi 'culturale', va dato a quello che in Italia chiamiamo in un solo modo: femminicidio e odiosa violenza contro le donne" (Alessandra Moretti); "Provo orrore per quello che è un crimine contro natura, maturato in un contesto familiare patriarcale e oscurantista, più preoccupato del proprio onore che della felicità delle proprie figlie" (Lia Quartapelle); "La condanna è netta e senza mezzi termini e conferma quanto siano giuste le nostre battaglie a sostegno della libertà di tutte le donne di qualsiasi cultura, popolo, religione" (Stefania Pezzopane).
Anche all'interno del Movimento 5 Stelle e di Liberi e Uguali i toni usati sono simili. Erasmo Palazzotto, per esempio, scagliandosi contro il lassismo delle istituzioni che non combattono a sufficienza il radicalismo islamico, ha parlato di "timidezza con cui evitiamo di combattere barbare pratiche patriarcali ovunque e da chiunque siano perpetrate". Anche i parlamentari grillini, che fanno parte del gruppo Pari Opportunità, hanno denunciato i "retaggi culturali che minano l'emancipazione e i diritti" di ragazze che "vivono nel nostro Paese e che sono perfettamente integrate con la cultura occidentale". Stesso copione dei dem. Quasi tutti (fa eccezione Emannuele Fiano) sembrano, dunque, avere una qualche allergia a parlare di islam. Ma non solo. Molti di loro sono persino insofferenti nei confronti di chi, invece, si batte per condannare il fondamentalismo islamico. Ne sa qualcosa Roberto Calderoli che è stato accusato dalla Pezzopane di occuparsi delle donne "solo per gettare benzina sul fuoco della xenofobia e del razzismo per cercare di lucrare, strumentalmente, consenso". Anche il vignettista Vauro, parlandone con l'AdnKronos, non ha esitato a scagliarsi contro chi, a suo avviso, sta usando il caso Saman per "demonizzare l'islam".
Il punto, però, non è demonizzare l'islam tout court in quanto religione ma far sì che certe pratiche, come i matrimoni combinati, l'infibulazione, l'imposizione del
velo, vengano bandite dal nostro Paese. Per far sì che questo avvenga, bisogna in primis denunciare questa barbarie senza perifrasi linguistiche e poi approvare leggi ad hoc per combattere l'islam radicale.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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