Volano già gli stracci nel grande rassemblement del centrosinistra. Dubbi e distinguo tanto diffusi che in direzione Pd il segretario del partito Enrico Letta deve precisare che quelle a cui sta lavorando sono solo mere «alleanze elettorali che siamo costretti a fare» a causa del Rosatellum. Necessarie perché altrimenti sarebbe impossibile sperare di vincere sul centrodestra.
Non esattamente la premessa migliore per quel campo largo dell'Italia «dei democratici e progressisti», in costruzione da Roberto Speranza a Calenda a forse Renzi, passando per Di Maio. Di fronte alle fibrillazioni Letta chiede al partito responsabilità durante le prossime due settimane, quando verranno definite le liste elettorali. Dice che non devono «volare gli stracci», appunto. Ma è questione di incastri che a oggi sembrano difficili. Con il leader di Azione il dialogo è aperto, anche dopo le frizioni sul candidato premier, che per Calenda o è Mario Draghi o in alternativa lui stesso: «Se non fosse disponibile mi candiderei io». Ma Calenda - che con Letta condivide come condizione tassativa l'esclusione dei cinque stelle - è una spina nel fianco per Sinistra italiana e per i Verdi, che preferiscono ancora guardare al leader del Movimento Giuseppe Conte. «Calenda ogni giorno si inventa un nuovo veto o un nuovo insulto. Il programma di Calenda non ha nulla a che vedere con il mio, io continuo a rivolgermi a Conte e Letta perché si costituisca io filo del dialogo», ribadisce Nicola Fratoianni. «Vogliamo lavorare per costruire l'alleanza più ampia possibile, compreso il M5s», gli fa eco Angelo Bonelli dei Verdi.
Questione però di programmi e di identità distinte quando non contrastanti, come per esempio nelle declinazioni della bandiera ambientalista. I distinguo su un possibile accordo con Azione arrivano anche dall'interno degli stessi dem, con le perplessità di Andrea Orlando che chiede un «sistema di alleanze che non sia in contraddizione con il messaggio che vogliamo costruire». Matteo Orfini ricorda che «non si può essere il partito ambientalista» rivendicato da Letta «se poi sei alleato a chi (come Calenda ndr) propone il nucleare». Letta risponde dispensando rassicurazioni: «Le alleanze elettorali che faremo non inficeranno in nulla la nettezza della nostra narrazione». E ieri a Roma ha incontrato l'altra possibile area da inglobare nella grande lista aperta: Luigi Di Maio e il sindaco di Milano Beppe Sala. Il ministro degli Esteri che subito dopo la scissione aveva agganciato il primo cittadino lombardo, lavora per portare in dote una rete di civici ed ex M5s. Ma Sala ha chiarito che «non sarò parte di questa partita, sto solo cercando di dare una mano, è chiaro che Letta è il segretario di un partito che per me è un riferimento, è un amico da tanti anni, quindi più che altro volevo capire la situazione».
Resta un'incognita Matteo Renzi. Il segretario del Pd non ha chiuso al leader di Italia Viva ma è consapevole che si tratterebbe di una componente difficile da far digerire al partito. Renzi dal canto suo ha detto di essere pronto a correre da solo, ma fra i dem non si esclude che possa trovare «ospitalità» da Calenda che probabilmente «avrà a disposizione una serie di collegi dal Pd»: «una parte di collegi buoni», vale a dire contendibili, «una parte medi e una parte di collegi impossibili».
In questi, secondo fonti parlamentari Pd, potrebbero essere candidati Renzi e qualcuno dei suoi. Ma per ora l'esito del dialogo tra i due resta incerto. I giochi sono aperti. E sembra che gli stracci continueranno a volare.
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