Milano. «Mi ha fatto venire in mente quando il dittatore Enver Hoxha mostrava le letterine che i bambini scrivevano per lui. Elogi a non finire. Che tristezza». Astrit Sukni (nella foto) 39 anni, ormai è naturalizzato italiano, ma è cresciuto in Albania, dove ha le sue origini e dove ancora vive la sua famiglia. Quando è crollato il regime comunista albanese, uno dei più chiusi d'Europa, lui era poco meno che un ragazzino, ma ha fatto in tempo a frequentare scuole elementari e medie al tempo della dittatura. E i suoi nitidi ricordi personali, adesso che è un uomo, si uniscono ai racconti familiari.
Quei ricordi non rappresentano più un trauma, ormai, per Astrit, che vive da tempo in Italia. Eppure sono riaffiorati quando ha letto la risposta che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha dato alla letterina di un bimbo che gli ha scritto per chiedere rassicurazioni sull'arrivo di Babbo Natale in tempi di pandemia e chiusure. «Sia chiaro, Conte non è un dittatore - premette Astrit - immagino che il pensiero di quel bambino sia stato trasformato in lettera da un adulto, abbellito e sistemato a dovere, ma poi è stato sfruttato, e questo è tipico di chi usa la retorica per la costruzione del consenso. Sì, possiamo chiamarlo paternalismo».
Musulmano laico, oggi amico e sostenitore di Israele, politicamente non schierato, Astrit ha studiato in Italia per volontà del padre ma ha vissuto in Albania fino all'età di 18 anni, la metà dei quali passati sotto un regime che era rimasto praticamente al tempo di Stalin, dopo essersi isolato anche dagli altri Paesi comunisti - prima quelli europei e poi la Cina, per un periodo alleata privilegiata - fino a una carestia in cui mancarono anche beni di prima necessità. Il regine di Tirana per quattro decenni è stato anni dominata dalla figura oppressiva e spietata di Enver Hoxha. «É morto nell'85, quando io avevo 4 anni - racconta Astrit - e a scuola facevano scrivere poesie, magari a chi era più bravo, magari anche se non volevi scriverle e non te ne fregava niente di chi fosse il presidente: un bambino di solito le poesie le scrive al massimo per mamma e papà». Astrit è cresciuto a Skutari, nel Nord, una delle città più grandi dell'Albania: «Ricordo questa scuola con un cortile enorme - dice - tutti in fila, poi la ginnastica un po' come i cinesi. Se facevi bene nei compiti, ti mettevano una stella con la penna rossa. Il lavaggio del cervello lo subivano di più quelli un po' più grandi, ma tutti avevano un po' di paura, la sentivi in famiglia e la scuola ti incanalava, come gli spazi pubblici pieni di manifesti, scolpiti nelle pareti, con tanto di bandiere».
E tanti anni dopo, ripensando alle poesie e parlando
di letterine - a dire il vero oggi usate da tanti in Occidente, politici e magari uomini di scienze - Astrit sospira: «Queste cose fatte da un dittatore si spiegano, ma per un leader democratico a me paiono un po' oscene».
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