Rouge o noir? Oggi la pallina della roulette sul Recovery Fund dovrebbe smettere di girare. È il giorno della verità, con la Commissione europea chiamata a fare una precisa scelta di campo. Le opzioni sono due: appoggiare la proposta da 500 miliardi di euro di Germania e Francia, con quel mix di risorse a fondo perduto e prestiti, oppure aderire all'idea calvinista dei «Frugal Four» (Austria, Olanda, Danimarca e Svezia) convinti che neppure i disastri da Covid-19 consentano pasti gratis. Ursula von der Leyen si muove su un piano inclinato e scivoloso. Mettere d'accordo tutti è una missione impossibile, ma una soluzione va trovata. Possibilmente in fretta per evitare che la situazione precipiti ulteriormente. L'Europa già soffre, come indicato ieri dalle cifre dell'Ocse (-3,3% il Pil nel primo trimestre, -4,7% la contrazione dell'Italia), e in futuro le cose andranno peggio. Fitch ha rivisto al ribasso le stime per il 2021, che ora vedono un crollo dell'8,2% per l'eurozona e del 9,5% per il nostro Paese.
Servono scelte coraggiose. La Commissione sembra disposta a farle, come sembrano confermare le anticipazioni di Martin Selmayr, rappresentante dell'esecutivo comunitario in Austria, secondo il quale le sovvenzioni a fondo perduto rappresenteranno il 60-70% dell'intero ammontare.
Un po' più articolata è l'analisi di Goldman Sachs, convinta che la cifra che Bruxelles metterà sul piatto non si discosterà di molto da quella prospettata da Berlino e Parigi, ma con una ripartizione delle modalità di erogazione fortemente sbilanciata a favore delle sovvenzioni, pari 90%. Il nostro Paese potrebbe beneficiare di circa 85 miliardi, contro i 76 della Germania, anche se uno scenario «generoso» alza la posta per Roma fino a 120 miliardi. Esclusa la possibilità che il fondo possa vedere la luce entro l'anno a causa del necessario via libera dei 27 Parlamenti dell'Unione, 350 miliardi a fondo perduto saranno erogati nel 2021, e la parte residua spalmata sul biennio 2022-23.
Un forte endorsement a favore dello strumento emergenziale è arrivato intanto dalla Bce, esplicita nel mettere in evidenza che «se le misure adottate a livello nazionale o europeo fossero giudicate insufficienti a preservare la sostenibilità del debito, il giudizio del mercato su un rischio di ridenominazione potrebbe salire ulteriormente». In pratica, verrebbero di nuovo alimentati i timori di un break-up dell'euro. Il vicepresidente dell'Eurotower, Luis De Guindos, ha fatto riferimento al «chiaro effetto sui mercati» provocato dall'iniziativa di Angela Merkel ed Emmanuel Macron. «In questo choc simmetrico, avere una riposta comune di bilancio paneuropea è particolarmente importante», ha avvertito il banchiere spagnolo. In attesa di capire come si muoverà l'Unione, Francoforte non resta con le mani in mano. Aumentano infatti le attese per un annuncio, in occasione della riunione della prossima settimana, su una rimodulazione del Pepp, il piano di acquisti da 750 miliardi contro l'emergenza pandemica. In particolare, la regola della capital key verrebbe temporaneamente sospesa per ripartire meglio gli acquisti di bond sulla base delle esigenze dei singoli Paesi. Insomma: ancora più Btp, e meno Bund. Speculazioni che si sono riflesse in una discesa ieri dello spread sotto quota 200 e dei tassi decennali, calati all'1,53%. Ma la banca guidata da Christine Lagarde starebbe soprattutto preparando un piano B nel caso la Bundesbank fosse costretta dalla Consulta tedesca ad abbandonare la partecipazione al quantitative easing. Reuters, che cita quattro diverse fonti, prospetta la possibilità che la Bce avvii un'azione legale senza precedenti nei confronti della Buba, il suo principale azionista, per riportarla nel programma. Una mossa ad alto rischio per le implicazioni che potrebbe avere sulla partecipazione della Germania all'euro.
Sebbene complessa, la seconda possibilità sarebbe quella di affidare alle altre banche centrali dell'eurozona il compito di comprare Bund pro quota. Così da spegnere sul nascere possibili speculazioni su una rottura dell'eurozona.
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