L'ex presidente del Consiglio

Roma«Credo che in nessun parte del mondo, tantomeno in Europa, la riforma del Senato elaborata dal governo possa in futuro essere presa ad esempio». Lamberto Dini è netto. «Mi auguro - dice l'ex presidente del Consiglio ed ex ministro degli Esteri e del Tesoro - che Matteo Renzi avvii una riflessione più profonda su quello che dovrà diventare il nuovo Senato della Repubblica».

Perché, presidente? Il bicameralismo perfetto non funziona un granché...

«È vero, il bicameralismo perfetto rende il processo legislativo lento e costoso. Ma il Senato, così come l'ha proposto il governo, non fa certo risparmiare i costi: il 75% delle spese di Palazzo Madama è coperto dalle spese per il personale. E non è certo con un Senato fatto da consiglieri regionali nominati dall'alto che si risparmiano i costi».

E come lo vorrebbe?

«Basta prendere l'esempio francese, per esempio. Eletto a suffragio universale e senza abbassare i requisiti per partecipare all'elezione. In fin dei conti, basterebbe prendere consiglio dall'iniziativa avviata da Vannino Chiti, uomo esperto sia di Regioni sia di Senato. Insomma, Renzi deve ascoltare un po' di più anche quelli della sua stessa parte politica».

Pare di capire che alla ripresa, dopo la pausa estiva, la riforma del Senato non raccoglierà i due terzi dei voti necessari per modificare la Costituzione...

«E sono convinto che se oggi si dovesse andare ad un referendum confermativo, quel referendum il governo lo perderebbe. Le regole vanno riscritte tutt'insieme: tra maggioranza, opposizione ed opposizione interna. Mi sorprenderei se venisse posta la questione di fiducia su un tema di questa portata. Non credo che il presidente della Repubblica lo consentirebbe. Il Senato, basta studiare un po' di Storia, è da sempre la “Camera degli anziani”, o degli esperti. Forse Renzi dovrebbe ricordarselo».

Insomma, per la riforma del Senato bisognerà attendere il prossimo anno?

«Credo che se Matteo avviasse una riflessione profonda su questa riforma istituzionale e coinvolgesse tutte le forze politiche presenti in Parlamento nella riscrittura delle regole sarebbe un bene per il Paese. E mi sorprendo che tanti costituzionalisti italiani non lo dicano, quando - in realtà - lo pensano tutti».

Il carro del vincitore è sempre pieno...

«Ma non si fa mica reato di “lesa maestà” se la si pensa in maniera diversa. Matteo vuole cambiare l'Italia. Sono d'accordo. Ma per riuscirci va ridotto il perimetro dello Stato nell'economia».

La riforma della Pubblica amministrazione va in questo senso...

«No, va in senso opposto. Il ministro competente non può dire: non spetta a me ridurre i costi della Pubblica amministrazione. Risultato, la sua riforma non introduce alcun risparmio di spesa. Io credo a Renzi quando dice che è determinato ad introdurre una forte riduzione del prelievo fiscale. Per riuscirci, però, deve far diminuire la spesa improduttiva. Le municipalizzate, le Regioni, le Province sono divoratrici di risorse pubbliche. Le municipalizzate, poi, sono covi di assunzioni clientelari».

Quindi, secondo lei, deve concentrarsi sulle riforme economiche ed accantonare quelle istituzionali?

«Certamente. Renzi deve coinvolgere le opposizioni in quelle istituzionali ed accelerare quelle economiche. E non si deve preoccupare se perderà qualche voto. Se davvero vuole il bene del Paese deve prendere esempio da Gerhard Schröder: fece le riforme necessarie alla Germania. Certo, perse le elezioni, ma permise al sistema tedesco la competitività che oggi il mondo le invidia. Di contro, se vuole perdere 10 milioni di voti, accolga le proposte di riordino previdenziale che gli vengono proposte dal presidente dell'Inps».

Consigli da fiorentino a fiorentino...

«Vede, Renzi ed io siamo tifosi della stessa

squadra di calcio: allo stadio eravamo seduti vicini. Ma anche negli spogliatoi c'è il giocatore che conta più degli altri. Renzi è stato un buon calciatore. Ma per contare ancora di più, da ragazzo diventò arbitro...».

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