Duello inatteso martedì a Porta a Porta tra il premier Matteo Renzi e Bruno Vespa.
Si parla dell'invasione della Libia e il capo del governo afferma: «Bombardare la Libia in quel modo cinque anni fa non fu intelligente». Vespa precisa: «Il suo predecessore Berlusconi cercò di evitarlo ma andò sotto». Renzi imperterrito continua ad accusare il Cav, e il conduttore pare stizzirsi: «Presidente, io sono testimone di una notte drammatica al teatro dell'Opera di Roma». «Ma non deve difendere Berlusconi», ribatte Renzi. Vespa a questo punto scatta: «Io difendo la cronaca e la storia, e la storia è che fu messo sotto da Napolitano. Questa è la storia vera e propria». Renzi risponde con una battuta: «Direttore io capisco che ai grandi amori... non voglio comandare il cuore», a cui Vespa replica così: «Qualcuno dice che lei è troppo amato».
Il siparietto tra i due si chiude, ieri il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha lanciato un altro «missile»: «In Libia delle shit things (cose di mer..., ndr) sono state fatte, anche con la partecipazione italiana». Ma cosa successe nel marzo 2011 al teatro dell'Opera di Roma? In sala andava in scena il Nabucco ed erano presenti l'allora capo dello Stato Giorgio Napolitano, il premier Silvio Berlusconi, diversi ministri, diplomatici e generali. All'interno dello stesso teatro si tenne una urgentissima riunione sulla situazione libica. Nell'ex colonia italiana la rivolta contro Gheddafi montava di giorno in giorno, e il Colonnello non andava certo per il sottile per reprimerla. Napolitano voleva che l'Italia facesse parte della coalizione dei «volenterosi pronti a cacciare il Rais. Aveva già parlato di «decisioni difficili» a cui non ci si poteva sottrarre, aggiungendo: «Non lasciamo calpestare il risorgimento arabo». La comunità internazionale spingeva per un intervento, la Nato fomentata da Sarkozy e Cameron praticamente aveva già deciso che Gheddafi andava eliminato, Obama pressato da Hillary Clinton si era accodato e l'Onu stava per decretare una no-fly-zone. Uno dei pochi leader occidentali ad essere contrario all'intervento era Silvio Berlusconi. Nella riunione d'emergenza al teatro dell'Opera Berlusconi era in minoranza, Napolitano riuscì a imporsi e anche l'Italia andò in guerra contro il colonnello. Testimoni raccontarono di un Berlusconi pallido, preoccupato e contrariato. Si era dovuto adeguare ad una situazione decisa da altri. Ad aprire le danze furono i francesi, che iniziarono a bombardare la Libia prima ancora che all'interno della coalizione si fossero stabilite precise intese.
Quali sarebbero state le conseguenze di quella decisione il Cavaliere le aveva previste tutte: instabilità, immigrazione incontrollata, rischio fondamentalismo islamico. In pratica la Libia così com'è adesso. La Lega nord era contro l'intervento, e Umberto Bossi non le mandò a dire: «Siamo diventati una colonia francese. Le conseguenze saranno gravissime, verremo invasi dai profughi. Senza contare che l'intervento costerà 700 milioni in tre mesi». Il centrodestra era spaccato, ma il Pd fece quadrato attorno a Napolitano e una maggioranza parlamentare anomala diede il semaforo verde all'intervento.
Solo dopo anni alcuni protagonisti di quella drammatica decisione hanno riconosciuto che l'ex premier aveva ragione. A cominciare da Obama, che in un'intervista del 2015 a The Atlantic definisce Cameron e Sarkozy «alleati parassiti ed interessati». Interessati a cosa? Alle risorse libiche, che facevano gola ai colossi Total e British Petroleum, desiderosi di strappare all'Eni le ricche commesse che le erano state concesse in virtù dei buoni rapporti tra Roma e Tripoli. Altro che difesa della popolazione civile vittima del crudele dittatore. Tutte fandonie.
Renzi quindi ha ragione a criticare
l'intervento militare in Libia, ma per quale oscuro motivo non cita i veri promotori di quella guerra? Ovvero Sarkozy, Cameron, il suo amico (anche se poi si è pentito) Barack Obama e soprattutto Giorgio Napolitano? Mistero buffo.
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