L'inatteso Putin in tono minore. Senza trionfi da celebrare s'aggrappa a mito e menzogne

Non nomina Kiev né parla di guerra totale o atomica, ma di nazismo e minacce Nato. E attacca gli Usa: il "falco" è Biden

L'inatteso Putin in tono minore. Senza trionfi da celebrare s'aggrappa a mito e menzogne

Undici minuti in tutto. Poco, pochissimo rispetto alle attese della giornata e alle abitudini di Vladimir Putin. Che è apparso fiacco (alla fine del suo discorso si è seduto e ha protetto le gambe con una coperta), tutt'altro che aggressivo, irriconoscibile rispetto all'uomo minaccioso che all'alba dello scorso 24 febbraio aveva annunciato al mondo l'invasione dell'Ucraina. Fiacche sono apparse, tutto sommato, anche le argomentazioni, tanto che fa quasi più notizia ciò che ieri ci si aspettava che dicesse e che invece non ha detto.

Il mondo, forse per l'ultima volta, pendeva dalle labbra di Putin, si aspettava annunci importanti, svolte, addirittura sorprese, magari brutte, bruttissime sorprese. Invece no. Niente annunci di guerra totale all'Ucraina, niente mobilitazione totale, nessuna promessa di conquiste imminenti, nessuna minaccia velata o esplicita di ricorso all'arsenale nucleare, soprattutto nessun riferimento che non fosse inevitabile al concetto di vittoria. Neppure la scenografia è parsa studiata per accendere l'emozione dei presenti circa il conflitto nel Donbass (dove per altro la parata moscovita non è stata neppure trasmessa): niente formazioni di aerei nel cielo a disegnare la «Z» che simboleggia l'inconcludente «operazione militare speciale», nessuno show di pessimo gusto facendo sfilare prigionieri ucraini. Spiccava, oltretutto, l'assenza sul palco del capo di stato maggiore Valery Gerasimov, clamorosa nel Giorno della Vittoria celebrato in pompa magna: di lui non si sa al momento nulla, forse è stato davvero ferito la settimana scorsa al fronte di Izyum in Ucraina, o forse è semplicemente caduto in disgrazia agli occhi di Putin.

In mancanza di un trionfalismo che non si è potuto inscenare, il capo del Cremlino ha dedicato spazio alla giustificazione della guerra da lui voluta. Privilegiando una volta di più, va detto con chiarezza, la cifra della menzogna. A suo dire, i soldati russi sono stati inviati a morire a migliaia (per la prima volta ha dovuto lasciarlo intendere) per difendere la sicurezza della patria da un'imminente minaccia di aggressione della Nato alla Crimea e al Donbass, con tanto di possibile ricorso ad armi atomiche fornite ai «nazisti» ucraini: assurdità inverosimili e senza prova. Putin giura di non aver avuto altra scelta, dopo che l'Occidente avrebbe rifiutato «la nostra ripetuta offerta di un dialogo onesto sulla sicurezza»: ma nessuno dimentica che nelle settimane precedenti l'attacco del 24 febbraio, mentre la Russia ammassava oltre 150mila uomini ai confini ucraini «per svolgere normali esercitazioni», il ministro degli Esteri Sergei Lavrov pretendeva addirittura un ritiro di fatto della Nato dai Paesi dell'Europa orientale diventati suoi membri per libera scelta dopo il 1991, e la divisione del continente in zone d'influenza. Questa non negoziabile pretesa di riportare le lancette della Storia indietro di trent'anni non è un dialogo onesto, al massimo è un diktat.

Putin ha rivolto le sue parole più dure agli Stati Uniti, forse tentando di suggerire che il vero guerrafondaio sia quel Biden che, mentre Macron invita a non umiliare la Russia, firma un altro decreto per inviare armi a Kiev. Li ha accusati di voler imporre al mondo intero e in primo luogo ai loro alleati europei, che ha descritto come passivi esecutori della loro volontà imperiale - la loro «degradazione morale». La Russia, ha affermato orgogliosamente, ha un'altra tempra e non si fa imporre nulla del genere. È questo il cuore della propaganda putiniana, la cosiddetta difesa dei valori tradizionali che lo rende tanto popolare presso la destra nazionalista europea e che ha sostituito la bandiera rossa della defunta Unione Sovietica.

In tutto ciò, l'Ucraina non è stata mai nemmeno nominata. Forse per imbarazzo, certamente per rimarcare che essa non deve neppure esistere: Putin fa così, nemmeno Alexey Navalny viene mai nominato, quando è costretto dalle circostanze il Numero Uno si riferisce a lui come a «quella persona», per l'Ucraina si è inventato il «nazismo». Nell'ultima parte del suo discorso, Putin ha richiamato i russi all'esempio degli eroi di 77 anni fa, a sentirsi fieri del loro trionfo.

Ma oggi non c'è in vista nessun trionfo. C'è solo una guerra che non si potrà vincere e che però deve continuare tra inutili brutalità, una velleità d'impero incapace di sconfiggere l'orgogliosa Ucraina. Un impero in declino, come le fortune di Putin.

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