Quarant'anni fa come oggi eravamo tutti in via Caetani, a metà strada fra piazza del Gesù sede della Democrazia Cristiana e le Botteghe Oscure allora sede faraonica del Partito comunista. Il cadavere smagrito nell'angoscia di Aldo Moro era nel bagagliaio della famosa Renault rossa. Aveva il pollice fracassato da uno dei colpi sparati, nel tentativo disperato di coprirsi il volto. I carnefici non ebbero nemmeno la pietà di coprirgli il volto prima di tirare il grilletto. Moro fu assassinato per impedire che il Partito comunista si sganciasse dall'Unione Sovietica, come tutto l'Occidente sperava. Per impedire questo risultato avevano già tentato di far fuori il segretario comunista Enrico Berlinguer in Bulgaria investendolo con un camion che uccise il suo autista. Moro fu catturato, spremuto e liquidato secondo un copione che poi tutti si sono dati da fare per insabbiare per far credere che un gruppo di sconsiderati boyscout comunisti le sedicenti Brigate rosse lo avesse catturato per fargli un processo del popolo. Una contraffazione ridicola, ma buona da dare a bere alle folle, allora come oggi. La storia di quel delitto è la storia di mille insabbiamenti. Francesco Cossiga che era stato il braccio destro di Aldo Moro e poi uno dei fautori del sacrificio umano sotto l'etichetta del «partito della fermezza» - a cose fatte andò a visitare tutti i brigatisti in galera con cui strinse un accordo: sarebbero stati rimessi tutti in libertà, purché tenessero la bocca chiusa.
Quando io andai, come presidente di una Commissione bicamerale d'inchiesta e sotto copertura diplomatica a Budapest nel 2005 per un incontro formale con la Procura ungherese, fu mostrata a me e agli altri membri della commissione una grande valigia di cuoio verde con tutti i documenti che certificavano l'arruolamento dei principali brigatisti rossi nei servizi segreti sovietici e della Stasi tedesca. Al momento della consegna di quei documenti che ci erano stati promessi in pompa magna, intervenne il veto diplomatico russo. Ma per me, per noi, bastava e avanzava. Moro aveva accettato di svolgere il ruolo di garante dell'ingresso dei comunisti in area democratica, purché tagliassero il loro legame con Mosca. Per questo sarebbe dovuto diventare presidente della Repubblica e per questo una terrificante campagna di stampa aveva costretto alle dimissioni l'innocente presidente Giovanni Leone trascinato nel fango dalle falsificazioni della potente centrale che guidava l'operazione. Alla potente centrale si opponeva l'altra potente centrale che alla fine vinse, liquidando il garante. La liquidazione di Moro mandò all'aria il progetto. E questa è la storia negata e insabbiata. L'operazione che avevano preparato gli americani vedi L'Italia vista dalla Cia di Paolo Mastrolilli e Maurizio Molinari, con tutti i documenti originali del corteggiamento americano al Partito comunista guidato da Enrico Berlinguer consisteva allora nel tentativo di far fuori una parte della Dc sgradita.
Operazione che riuscì perfettamente qualche anno più tardi con l'eliminazione programmata di tutta la classe politica democratica italiana con l'operazione Clean Hands, Mani Pulite come ben documentato in The Italian Guillotine di Luca Mantovani e Stanton H. Burnett, libro mai tradotto in Italia, per eloquente prudenza. Queste circostanze sono note e stampate ma mantenute accuratamente nell'ombra affinché il comune sentire della pancia italiana non avesse a soffrirne. Ma meritano di essere ricordate perché oggi, sotto l'inesistente vessillo della inesistente Terza Repubblica, è in atto una nuova purga della classe politica italiana, stavolta sotto forma di liquidazione del nucleo liberale e moderato rappresentato da Forza Italia e dal suo leader Silvio Berlusconi.
L'intransigenza razzista mostrata da Luigi Di Maio nel rifiutarsi di prender atto dell'esistenza politica di Berlusconi e del suo partito non è una capricciosa impuntatura, ma l'esecuzione dei desiderata di una grande lobby internazionale che sta dietro i danti causa del Movimento Cinque Stelle. La storia della contraffazione italiana continua, il grande giornalismo dei divi della comunicazione democratica tace e incassa dividendi di notorietà a costo zero, mentre agli italiani viene risparmiato oggi come quaranta anni fa il disturbo di sapere, di discutere, di dubitare.
Moro da vivo era stato odiato dai comunisti che lo avevano sempre deriso e attaccato, ma che oggi lo santificano come se fosse un loro martire. Moro era odiato da Eugenio Scalfari, così come Giovanni Falcone era odiato dai comunisti e degradato da vivo, ma poi assunto nell'Olimpo dei martiri resi innocui. Quanto a Moro, sapeva che si stava stringendo il cappio al suo collo e che quel cappio era stato preparato da ben altri che non i quattro mascalzoncelli sanguinari dei brigatisti «duri e puri». Nulla era duro, nulla era ed è puro.
La democrazia repubblicana è da decenni sotto attacco, fragile, infetta e sempre sotto tutela. La macabra sorpresa nella Renault rossa di via Caetani quaranta anni fa rappresentò l'apice della viltà e della malvagità, ma il delitto più grave è che malgrado le decine di migliaia di pagine e di udienze, agli italiani è stato propinato, allora come oggi, un pappone imbottito di sonnifero ed edulcoranti, affinché non pensassero troppo.
È la vecchia tecnica dei signori tedeschi durante il feudalesimo, che sceglievano personalmente la moglie per i loro contadini e, affinché non avessero a faticare, gliela davano già gravida.
Oggi l'antico delitto seguita a perpetrarsi ogni giorno e ad ogni anniversario attraverso la manipolazione e la disinformazione sorvegliata e gestita da molti finti eroi. Moro è morto e anche la verità ha fatto la stessa fine, mentre maturano nuovi accurati delitti politici, complice il populismo allevato in batteria come i polli e spacciato come ruspante.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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