E ora a far paura non è più la pioggia. Ma il rischio di frane. «Ne abbiamo registrate a centinaia e il pericolo permane anche per le prossime settimane» spiega il presidente della Regione Emilia Romagna, Stefano Bonaccini. Già la terra e le strade hanno ceduto dopo due giorni di maltempo con 305 smottamenti, figuramoci ora che tutto è infradiciato d'acqua e ridotto a fanghiglia. L'allerta rossa riguarda in particolar modo i versanti e le zone pedemontane, soprattutto quelle più argillose.
Tutte le squadre di rilevatori (soprattutto nel ravennate e in provincia di Forlì-Cesena) sono in campo per monitorare le aree più pericolose e, laddove le strade non siano percorribili, utilizzano i droni.
Nei territori dove l'acqua è già scesa, si spurga e si pulisce tutto. La Regione ha emesso un'ordinanza che permette di usare gli autospurgo per buttare l'acqua nelle fogne e ammassare i fanghi solidi per essere magari riutilizzati per le riarginature quando si affronterà la fase della ricostruzione. «Sembra una banalità - spiega l'assessore regionale alla Protezione civile, Irene Pirolo - ma i fanghi soni considerati rifiuto e andrebbero smaltiti in discarica».
IL BILANCIO
I romagnoli ce la mettono tutta per reagire e sdrammatizzare. Vogliono salvare le case e la stagione turistica, tornare alla loro normalità. Ma, soprattutto a Forlì, Cesena e nel ravennate, il fango è ovunque, all'altezza dei tettucci delle auto, nelle cantine, nei primi piani delle palazzine, nei campi. Il bilancio (provvisorio) dell'alluvione è di 14 vittime, 36mila persone evacuate, 42 comuni allagati, 500 strade chiuse. Migliaia di cittadini hanno trovato accoglienza negli alberghi e nelle strutture allestite dai comuni, in palestre, scuole e palazzetti dello sport. Fino a ieri il numero verde di soccorso 800 024662 ha registrato più di duemila chiamate.
I DANNI
I danni? Per ora approssimativi ma enormi. In base a una prima stima emersa al vertice in Prefettura a Bologna, solo alle infrastrutture, tra strade e ferrovie, si calcolano oltre 620 milioni di euro di lavori. Nel comparto agricolo sono andati persi i raccolti di frutta e 400 milioni di chili di grano, mettendo a rischio 50mila posti di lavoro. Al Consiglio dei ministri programmato per martedì si farà un calcolo più preciso per poter quantificare e indirizzare aiuti. Nessuno sta con le mani in mano a piangersi addosso. «Di acqua ne abbiamo già abbastanza, ci manca solo quella delle lacrime» scherzano loro.
L'IMPRESA
Per smaltire l'acqua che ristagna nelle campagne e nelle città, si sta tentando un'impresa mai messa in pratica prima: nel Ravennate è stato invertito il flusso del grande Canale emiliano-romagnolo per deviarlo nel Po. Dopo ore si confronto e di calcoli sui tavoli del Cer, le operazioni sono cominciate. A mali estremi, estremi rimedi, anche se si tratta di far fare «inversione a U» a un flusso d'acqua che da decenni procede unicamente in una sola direzione.
«Una manovra complicata ma necessaria - spiega Raffaella Zucaro, direttrice generale del Canale emiliano-romagnolo - Riusciamo ad effettuarla perchè il canale è talmente colmo che la pendenza non influisce sul flusso dell'acqua. Parte dell'acqua verrà riversata nel Savio e parte tornerà indietro, nel Po». Il Po, appunto. Il fiume, carico delle piogge in Piemonte, è già stracolmo e quindi non c'è tempo da perdere.
«Abbiamo calcolato che il Po potrebbe raggiungere il limite fra due o tre giorni, quando le acque che riversiamo noi saranno già state scaricate nell'Adriatico, quindi non dovrebbero esserci problemi». Da far tornare indietro ci sono 3 milioni di metri cubi d'acqua ma il canale non verrà mai realmente svuotato perchè continua a ricevere l'acqua dei consorzi vicini.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.