Dall'inizio della guerra in Israele una nuova opinionista (molto amata dalla sinistra) spopola nelle televisioni nazionali, il suo nome è Francesca Albanese ed è «relatrice speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967» delle Nazioni Unite.
La Albanese si presenta come un «esperto indipendente» sulla situazione israelo-palestinese e, svolgendo un incarico per le Nazioni Unite, teoricamente dovrebbe avere posizioni equilibrate e super partes ma in realtà, ascoltando i suoi interventi, emerge una visione apertamente filo-palestinese e anti-israeliana. Per fare solo qualche esempio, pochi giorni fa dichiarava: «Israele occupa come una dittatura militare» e «la risposta militare non serve a niente», non proprio dichiarazioni imparziali. Infatti imparziale la Albanese non sembra esserlo come emerge da un report del 2022 di Unwatch intitolato emblematicamente «Mandate to discriminate». Unwatch è un'organizzazione non governativa che analizza e monitora l'attività delle Nazione Unite e ha scoperto una grave omissione nel modulo dei conflitti di interesse presentato dalla Albanese nella sua candidatura all'Un. A quanto si apprende non avrebbe infatti dichiarato che suo marito, Massimiliano Calì, ha lavorato per il ministero dell'economia dell'Autorità Nazionale Palestinese.
Come spiega il giornalista Antonino Monteleone su X: «Nel suo modulo di domanda all'Onu, a pagina 14, ad Albanese è stato chiesto se esistessero rapporti personali o finanziari che avrebbero potuto indurre la candidata a limitare la portata delle indagini, a limitare la divulgazione o a indebolire o distorcere in qualsiasi modo i risultati; su eventuali fattori che possano direttamente o indirettamente influenzare o comunque pregiudicare la capacità del candidato di agire in autonomia nell'adempimento del mandato; e a proposito di qualsiasi motivo, attuale o passato, che possa mettere in dubbio l'autorità morale e la credibilità del candidato. A tutti questi, lei ha risposto: No». Eppure il ruolo di suo marito Massimiliano Calì era tutt'altro che marginale svolgendo l'incarico di consigliere economico del ministero dell'Economia Nazionale dello Stato di Palestina a Ramallah. Proprio in questa veste, lavorando per il governo del presidente palestinese Mahmoud Abbas, il marito di Albanese ha scritto un rapporto intitolato: «I costi economici dell'occupazione israeliana per i territori palestinesi occupati».
Il report di Unwatch sottolinea come Francesca Albanese abbia preso una serie di posizioni pubbliche che «lascerebbero dubitare dell'assenza di pregiudizi nei confronti di Israele». Emblematica in tal senso una recente intervista al Palestine Chronicle in cui la collaboratrice delle Nazioni Unite ha attaccato l'esistenza di Israele sostenendo che lo Stato ebraico è «in violazione di lunga data dei principi fondamentali del diritto internazionale, iniziato 70 anni fa con lo spopolamento forzato di due terzi del territorio popolazione araba indigena in quello che divenne lo Stato di Israele nella Palestina sotto mandato britannico».
Alla luce di queste posizioni e
soprattutto del conflitto di interessi non dichiarato è lecito chiedersi se sia giusto che Francesca Albanese continui a svolgere il suo incarico per le Nazioni Unite o se sia invece più opportuno che faccia un passo indietro.
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