(Non) ti conosco mascherina. Nell'ultimo decreto c'è un pasticcio sulle chirurgiche, «bandite» da scuole, posti di lavoro, musei, cinema e mezzi di trasporto per far posto alle Ffp2. C'entra forse il boom di contagi tra ai banchi e negli under 20? Una più corretta interpretazione della legge 81 del 2008 sulla sicurezza sul posto di lavoro? Una sentenza della Cassazione dello scorso settembre? O le inchieste sulle mascherine farlocche ma sdoganate, aperte a Roma e in almeno altre tre procure, a un passo dalla chiusura?
Facciamo un po' d'ordine. Il decreto-legge 24 dicembre 2021, n. 221, contenente la proroga dello stato di emergenza nazionale, ha imposto le mascherine Ffp2 fornite dalla struttura commissariale a insegnanti e alunni. Quelle chirurgiche, distribuite finora dallo Stato, non sono (più) Dispositivi di protezione individuale. Lo dice anche un esposto presentato alla Procura di Roma - di cui ha dato notizia Il Fatto quotidiano - nel quale si ipotizza il reato di epidemia colposa per i responsabili del ministero dell'Istruzione, della Salute e del Comitato tecnico scientifico.
Per il posto di lavoro si applicano infatti gli obblighi del decreto 81/2008 sulla sicurezza. Norme «congelate» dalla legislazione emergenziale nella primissima fase della pandemia. Ma il decreto di Natale di Mario Draghi in questo modo nei fatti rende inapplicabile l'articolo 16 del decreto legge 18 del 17 marzo 2020 detto «Cura Italia». «Hanno ripristinato un obbligo che si erano dimenticati di far valere», commenta al Giornale una fonte che conosce bene il pasticcio delle mascherine chirurgiche, diventate improvvisamente equivalenti alle Dpi grazie all'articolo 16 del «Cura Italia».
Una legislazione molte generosa in emergenza: lo stesso articolo al comma 1 dice infatti che «fino al termine dello stato di emergenza (...) è consentito l'utilizzo di Dispositivi di protezione individuale di efficacia protettiva analoga a quella prevista per i Dpi», purché «l'efficacia sia valutata preventivamente dal Comitato tecnico-scientifico». Al comma 2 dell'articolo 16 si scrive che sono considerati Dpi le mascherine reperibili in commercio. Ma le chirurgiche sono Dpi? Secondo il Cts no. Ma se l'emergenza è stata prolungata al 31 marzo, perché imporre oggi le Ffp2 sul posto di lavoro e a scuola? E perché in molti luoghi, alla Camera e al Senato per esempio, già non si poteva entrare senza Ffp2 dall'agosto 2020? Perché dopo il decreto 34, aggiornato dalla legge 77 del 17 luglio 2020, sono cambiate le regole di validazione per le mascherine chirurgiche. Eppure a scuola, sui bus e nei musei non è scattata alcuna prescrizione.
«Ma le mascherine di comunità non esistono - dice ancora la fonte dei pm al Giornale - l'interpretazione errata dell'articolo 16 comma 2 del Salva Italia ha ammesso sul luogo di lavoro anche le mascherine di stoffa, basta che siano filtranti, con una deroga basata su una autocertificazione». Per una recente sentenza della Cassazione «la marcatura CE tutela la salute e la sicurezza», «attesta la conformità del prodotto a standard minimi» e garantisce «la qualità e la sicurezza della merce che si acquista». Invece molte mascherine col marchio contraffatto sono state fatte passare.
Ora l'esecutivo impone le Ffp2 «sicure», ma le mascherina col marchio CE farlocco sono state semplicemente «declassate» e fatte circolare nonostante la Cassazione abbia stabilito l'obbligo di sequestro e confisca, a prescindere dalla validazione. Perché non sono state distrutte? Quanti miliardi di mascherine abbiamo indossato senza che ci proteggessero? E se questa decisione avesse messo a rischio la salute pubblica?
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