Lucano graziato, niente carcere

Cadono in appello le accuse più gravi per l'ex sindaco di Riace: pena di un anno e 6 mesi

Lucano graziato, niente carcere
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Colpevole, ma non troppo. Con il più classico dei verdetti all'italiana, Mimmo Lucano la fa franca e con lui il suo «metodo Riace». Aver aiutato più di 6mila clandestini a regolarizzarsi e a restare in Italia non è reato («Quando li salvavo, per il Viminale ero un santo», dice spesso), non ci sono stati illeciti nella gestione dei progetti di accoglienza dei migranti finanziati dai fondi Sprar a Riace, fatta eccezione per un piccolo falso in una delibera del 2017 che all'ex sindaco del piccolo comune calabrese costa una condanna a un anno e mezzo, pena sospesa.

Amato da Papa Bergoglio, icona della sinistra, Mimmo u curdu era pronto a immolarsi in carcere per far valere le sue ragioni umanitarie di uomo dedito a difendere due principi, accoglienza e integrazione. E allontanare da sé l'immagine di un uomo spregiudicato che si era arricchito con la malagestio dei soldi del Viminale, grazie alla complicità di un sodalizio. Queste erano le accuse per cui era imputato - insieme ad altre 17 persone, tutte assolte - nel processo «Xenia» nato da un'inchiesta della Guardia di finanza sul «modello Riace». Lui che nel 2016 secondo Fortune era fra le persone più influenti del mondo, senza un soldo sul proprio conto corrente. Invece no: niente associazione per delinquere, truffa, peculato, falso o abuso d'ufficio. «È la fine di un incubo che mi ha abbattuto», dice a caldo. Esultano i suoi legali Giuliano Pisapia e Raffaele Daqua, che da anni difendono Lucano gratuitamente: «Esiste un giudice anche in Calabria, fatta giustizia per un uomo che ha sempre operato in maniera disinteressata nell'unico e esclusivo interesse del bene comune e della difesa dei più deboli, vittima di un accanimento non terapeutico e di uno stravolgimento dei fatti anche dovuto a un uso distorto delle intercettazioni», alcune delle quali erano «inesistenti».

Dopo oltre sei ore di camera di consiglio la Corte d'Appello di Reggio Calabria, presieduta da Elisabetta Palumbo, ha dato loro ragione e ha dunque sgretolato la tesi della Procura di Locri, che due anni fa lo aveva condannato a 13 anni e due mesi (la Procura generale con i sostituti Adriana Fimiani e Antonio Giuttari ne aveva chiesti 10 e 5 mesi). Regge il «sistema Riace», che aveva fatto scuola in Europa, con conferenze da Bruxelles a Parigi, ispirando film e canzoni. Festeggia la sinistra, da Luigi De Magistris all'ex governatore calabrese Pd Mario Oliverio, gongolano Gad Lerner («Perseguitato un giusto») e i supporter di Lucano che hanno festeggiato la sentenza, dentro e fuori dall'aula, con abbracci e scroscianti applausi. Roberto Saviano ritrova la parola: «La solidarietà non si processa e non si condanna».

La sentenza ora rischia di incidere profondamente nel dibattito politico sull'immigrazione, già turbato dalle sentenze «svuota Cpr» arrivate dalla Sicilia e da Firenze. Non è escluso che Lucano si candidi alle prossime Europee (nel 2019 disse no), forte dei quasi 10mila voti presi alle Regionali del 2021 nello schieramento guidato da De Magistris, proprio lui che secondo i giudici di primo grado aveva agito «per creare un sistema clientelare con una logica predatoria e garantirsi una lunga carriera politica».

Mastica amaro il centrodestra. Tra i pochi a parlare c'è Alfredo Antoniozzi, vicecapogruppo di Fratelli d'Italia alla Camera: «Auguro a lui che la Cassazione cancelli anche la condanna residua ma è colpevole politicamente di avere proposto un modello di accoglienza insostenibile».

Anche su questa sentenza si potrebbero allungare molti sospetti. Nella sua condotta ai limiti della legge Lucano avrebbe seguito i consigli del suo «mentore» Emilio Sirianni, anima di Magistratura democratica in Calabria, che per questi aiutini come alcune «controdeduzioni redatte» per «inquinare lo scenario probatorio» si è visto negare una promozione.

I due parlavano spesso dell'appoggio «di una parte della magistratura» alle battaglie di Lucano. Della corrente di Md fanno parte il pm antimafia Stefano Musolino (che ne è segretario nazionale) e Olga Tarzia, presidente facente funzioni della Corte d'appello. La stessa che ha graziato Lucano.

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