L'ultima bugia dei terroristi Isis: «Volevamo salvare i bimbi siriani»

Studiavano attacchi al Giubileo, si preparavano al martirio per il Califfato ma davanti al gip di Milano fanno retromarcia: «Le nostre? Solo fanfaronate»

Andrea Acquarone

Falso sostenere che il Corano vieti di dire bugie. La menzogna, la possibilità di nascondere o addirittura rinnegare esteriormente il proprio credo. Anzi, il contrario. Raccontare il falso rientra nei diritti di ogni buon musulmano. Tantopiù se combattente. «Taqiyya», ecco la parola magica, il passepartout dell'inganno autorizzato da Allah. E figurarsi se chi stava infiltrandosi in «Dar-al-Harb» (la «casa della guerra», ovvero l'insieme di tutti i Paesi non islamici del mondo), oggi dovrebbe ammettere di essere un terrorista. O aspirante tale. Sul ring Moutaharrik Abderrahim, ventiseienne pugile di kickboxing, non si tirava indietro. Picchiava e anche bene. Da arrestato, con l'accusa di preparare attentati per conto dell'Isis, si defila. Sgattaiola, rifiata all'angolo e si copre. Da vero professionista. «La Siria? Vedendo le immagini dei bambini martoriati volevo andare lì per aiutare la popolazione e non arruolarmi nell'esercito del Califfato».

L'atleta che coi guantoni si allenava in Svizzera, marocchino-italiano con l'accappatoio griffato Is, ieri di fronte aveva miscredenti come il gip Manuela Cannavale oltre ai pm Enrico Pavone e Francesco Cajani. All'alba dello scorso giovedì è stato arrestato a Lecco da carabinieri del Ros e polizia con l'accusa di terrorismo internazionale. Con lui in un'altra cella è finita la moglie Salma Bencharki, connazionale con passaporto italico. Cresciuta qui, fino a qualche tempo fa non indossava il velo, viveva all'occidentale, abiti alla moda. Commessa in un panificio a 16 anni, poi cameriera, barista. Il matrimonio, però, l'aveva cambiata. Adesso, al telefono, inneggiava alla jyhad, mentre il marito prometteva raggiante di essere «pronto ad attaccare il Giubileo. Gli infedeli...Sarò il primo». Parole, messaggini su WhattsApp o Viber che li hanno traditi insieme con altri due potenziali soldati e kamikaze: Abderrahmane Khachia, fratello di quel Oussama, foreign fighter espulso dall'Italia e poi morto in qualche landa sbranata mentre combatteva per le milizie dello Stato Islamico; e Wafa Koraichi, cameriera in una pizzeria di Baveno, parente stretta della coppia italo-marocchina sparita da Bulciago per arruolarsi con i tre figli piccoli nell'esercito del Califfato. «Non possono negare di aver detto le frasi che sono state intercettate - giustifica il loro legale Francesco pesce-, ma le loro frasi vanno viste in un contesto più ampio. Avevano rapporti con persone non collegate direttamente all'Isis ma che gli servivano per andare in Siria. A un musulmano occorre un nulla osta per entrare in quel Paese». Quando il gip ha chiesto al pugile del «progettato» attentato all'ambasciata israeliana lui ha replicato puerilmente che si trattava solo di «cose dette con leggerezza, senza alcun tipo di seguito». Salma Bencharki, pure lei sarebbe sopravvalutata. «Nonostante metta il velo- sostiene l'avvocato- probabilmente per compiacere il marito non è nemmeno, e così confermano anche i genitori, una musulmana così attenta ai precetti del Corano. Faceva la mamma e basta».

Insomma, bombe, promesse di guerra, minacce varie assortite adesso si vorrebbero derubricare a pettegolezzi. Boutade di quattro «poveracci».

Non stona col resto del coro «giustificazionista» Abderrahmane Khachia, fratello del miliziano che prima di essere ucciso qualche mese fa in Siria, minacciava di morte il Giornale. «Ho detto solo fanfaronate generiche, discorsi esagerati, iperbolici. Non ho mai avuto intenzione di fare male a qualcuno». Il giovane, come ha tenuto a precisare il suo difensore, l'avvocato Luca Bauccio, «ha solo detto delle parole in libertà ma non ci sono fatti sui quali trovare un riscontro».

Il suo difensore, che ha già annunciato di voler presentare istanza di scarcerazione, parla del presunto «tagliagole» come di un ragazzo di 23 anni «con una vita normale che non corrisponde alla figura del terrorista. Di uno che è caduto in una situazione di cui non ha saputo capire la gravità».Alla fine l'assioma è semplice. Se mentire per Allah non è peccato, almeno, per noi, sia lecito dubitare di queste «verità».

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