«Assolutamente NO». Così, con quel «no» tutto maiuscolo, una fonte d'intelligence ha risposto ieri alle delucidazioni richieste dal Giornale dopo la comparsa dell'articolo di Asharq Al-Awsat, un giornale pan-arabo pubblicato a Londra, in cui si attribuiva il rilascio dei pescatori sequestrati dalle milizie del generale Khalifa Haftar ad «un accordo con l'Italia per la liberazione dei suoi pescatori in cambio di detenuti libici». Il nostro governo avrebbe accettato, insomma, di far scarcerare, accompagnare e consegnare ad Haftar i quattro trafficanti di uomini più volte descritti come la contropartita indispensabile per ottenere la restituzione dei traghetti Antartide e Medinea e dei loro equipaggi. I quattro - condannati dal Tribunale di Catania a oltre 20 anni di reclusione per aver causato - nel 2015 - la morte di 49 migranti chiusi nella stiva del loro barcone - sembrano essere, fortunatamente, ancora in carcere in Italia.
Secondo le fonti citate da Asharq Al Awsat il loro scambio con i pescatori si sarebbe «concluso sullo sfondo di una mediazione regionale». In quelle righe è evidente il tentativo di accreditare il cedimento del governo ad un ricatto reso ancor più pesante da una scarcerazione illegittima. Ma la notizia, seppur infondata, da il senso di come Haftar e i suoi stiano sfruttando l'ingloriosa passerella in quel di Bengasi offerta loro dal nostro presidente del Consiglio e dal ministro degli Esteri. Il giochino è evidente. Conte e Di Maio si son piegati al ricatto regalando al generale una legittimità politica che persino alleati come Russia, Egitto ed Emirati stentano ormai a riconoscergli. Ma dal momento che hanno accettato una simile umiliazione, allora tutto può apparir vero. Persino l'illazione secondo cui avrebbero presenziato allo scambio tra i pescatori e i quattro galeotti che Haftar aveva più volte fatto intendere di voler scambiare con i nostri pescatori. Certo è una balla, ma in Libia ogni verità è relativa. E comunque vale meno della smentita di chi ha piegato il capo ad un ricatto.
Il tentativo del presidente del Consiglio di spacciare la resa libica come una mossa risolutiva per garantire il rientro natalizio dei nostri pescatori - e rinsaldare una barcollante popolarità - si sta rivelando dunque un pericoloso boomerang. Un boomerang che rischia d'affondare anzitempo un premier già logorato e costretto a subire gli attacchi dell'opposizione anche su questo fronte. Il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri, sfruttando il riserbo che circonda la trasferta libica di Conte e Di Maio annuncia un'interrogazione in cui chiederà chiarimenti su quanto pubblicato da Asharqw Al Awsat. «Voglio sapere con urgenza se ciò sia vero, come stanno le cose? - chiede il senatore azzurro - Ce lo dicano subito e alla luce del sole. Lo chiedo a Conte pubblicamente». Il vice presidente del Copasir Adolfo Urso pretende invece che premier e responsabile della Farnesina spieghino urgentemente le modalità della liberazione alla Commissione per i servizi segreti.
«Il prezzo politico (altissimo) che l'Italia ha pagato per ottenere finalmente la liberazione, dopo 108 giorni, dei nostri pescatori, dimostra senza ombra di dubbio - sostiene Urso - che il sequestro è stato effettuato solo al fine di costringere l'Italia a consacrare Haftar come unico interlocutore della Cirenaica, conferendogli quel ruolo centrale nelle trattative di pace in corso, che ormai tutti gli negavano. L'Italia ne esce umiliata, relegata a comparsa laddove era sempre stata protagonista».
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