![L'unica soluzione: chi non risolve vada a casa](https://img.ilgcdn.com/sites/default/files/styles/xl/public/foto/2025/02/12/1739344272-22969829-large.jpg?_=1739344272)
I vertici dell'Azienda Trasporti Milanesi (Atm) dovrebbero seriamente pensare di dimettersi, dovrebbero, ossia, «andare a casa» detto in lingua gergale e compiaciuta: che non è la nostra, non in questo caso. Sia il presidente Gioia Maria Ghezzi che l'amministratore delegato e direttore generale Arrigo Giana oltreché, per trascinamento, i componenti di nomina politica che compongono il cda, hanno infatti non poca responsabilità in questa tragedia dei trasporti cittadini. Il loro compito è infatti fare tutto ciò che è possibile affinchè il servizio sia davvero efficiente: per questo sono pagati. La politica tuttavia non è la sola responsabile, perché le ragioni del disservizio sono legate alla perfetta non-risoluzione di quello che è ormai diventato il principale problema che angustia i viaggiatori e pendolari milanesi: gli scioperi come quello di ieri, puntata numero centomila tra le infinite altre che sono indette soprattutto di venerdì (giorno scelto per provocare più fastidio possibile) e che a Milano sono ormai divenute una tradizione come il Panettone, con la differenza che i milanesi, il Panettone, non lo odiano, benché restino divisi tra una crescente ripugnanza sociale e quel fatalismo che si riserva agli eventi meteo: piove, c'è il sole, c'è sciopero. Il punto è che gli scioperi erano, sono e restano un problema oggettivamente grave e irrisolto che resterebbe tale anche se frattanto i vertici Atm avessero risolto qualsiasi altro problema, anche, cioè, se in questi anni avessero reso i trasporti milanesi i più scintillanti del Pianeta: il che non è. Ergo, quando un'azienda ha un evidentissimo problema (il primo problema colto dai milanesi, utenti, clienti) e quando i suoi amministratori nel tempo non lo risolvono, in genere questi amministratori vengono sostituiti: accade nel privato e anche nel pubblico, perlomeno nella dimensione occidentale a vocazione europea che qualcuno attribuisce ancora a Milano.
La presidente Ghezzi non la ritroveremmo in fila alla Caritas, lei frequentando i Trasporti Milanesi nei ritagli concessi dall'essere anche consigliera di Techint, Pillarstone Kkr, Swiss Re Europe and Swiss Re International. Neanche l'ad Giana resterebbe a spasso, essendo lui di provata esperienza e avendo perlomeno annunciato, anni fa, che avrebbe provato a invocare una nuova legge sugli scioperi causati dalle minoritarie sigle sindacali che esistono solo per opporsi a ogni trattativa (pur rappresentando poco o nulla) ma che sfruttano il loro status per proclamare scioperi continui, i quali, anche quando vi aderiscono in pochi, creano problemi enormi perché l'annuncio spinge molti milanesi a prendere comunque l'auto, con conseguenze immaginabili. La legge invocata dall'amministratore delegato, in ogni caso, non è stata fatta: quindi sorry, conta il risultato. Dovrebbe gettare la spugna.
Anche se resterebbero, anzi, anche se resteranno saldamente al loro posto quegli sfigati cronici che dal basso di sigle innominabili come le loro pretese (lo sciopero di ieri pretendeva nuove assunzioni, 350 euro mensili aggiuntivi da domani mattina senza dare nulla in cambio, riduzione della flessibilità e dei carichi di lavoro e dell'orario, oltre a una generica lotta contro i «pestaggi dei tranvieri») seguiterà, dicevamo, questa gente, ad arrovellarsi per inventare nuovi modi per dare lo stesso pruriginoso fastidio (sopportabile, ma incessante) fornito dagli insetti anopluri quando si posano sulle vacche.
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