In soli sette anni l'ex banchiere Emmanuel Macron è riuscito nella non facile impresa di rendere ingovernabile la Francia, distruggerne l'economia e trasformare la presenza dei migranti in una minaccia costante per i propri concittadini. Ma prima di devastare il proprio paese l'inquilino dell'Eliseo ha fatto carne di porco dei rapporti con l'Italia. A cominciare da quella primavera del 2017, quando subito dopo un'elezione acclamata dal nostro Pd non si fece problemi ad allungare un sonoro ceffone al governo Gentiloni annullando l'accordo per l'acquisto dei cantieri di St Nazaire da parte di Fincantieri. Fedele a questa sua personale missione di anti-italiano Macron è riuscito persino a trasformare un evento internazionale come il G7 di Borgo Egnazia in un ring politico. Un ring su cui ha mescolato la patologica intolleranza per l'Italia e per la nostra presidente del Consiglio alla battaglia per le nomine europee e alla campagna elettorale contro il Rassemblemant National di Marine Le Pen. Eh sì perché quando c'è l'occasione di attaccare l'Italia per Macron non esistono né regole, né paletti istituzionali. A Borgo Egnazia per dar fuoco alle polveri ha usato un pretesto irrilevante e fuori luogo come l'aborto. Irrilevante perché il tema era già stato trattato nella precedente riunione dei «sette grandi» e quindi non c'era necessità ri-menzionarlo, nel trattato finale. Fuori luogo perché l'inedita presenza del Papa lo trasformava in un argomento potenzialmente irrispettoso e conflittuale. Ma Macron se n'è come sempre fregato. «Dispiace - ha puntualizzato con il suo tono da maestrino puntiglioso - che manchi la parola aborto nella dichiarazione finale del G7. Sensibilità diverse. Ma rispetto la scelta del popolo italiana». Il rispetto è un'altra cosa visto che quella battuta rappresentava un attacco diretto ad una premier votata dalla maggioranza degli italiani. Ma non è questo il punto. Quell'attacco aveva due precisi obbiettivi. Il primo era mettere sullo stesso piano Giorgia Meloni e Marine Le Pen utilizzando il delicato tema di un diritto all'aborto che a destra non può prescindere dal diritto alla vita. Usando quel sotterfugio Macron ha tentato di presentarsi a italiani, francesi ed europei come lo strenuo difensore dei diritti civili e il principale nemico di una destra italiana francese ed europea indicata come il nemico «tout court». Un nemico da combattere indipendentemente dalla sfumature e dalle diversità politiche che contraddistinguono Fratelli d'Italia e Rassemblement National. Calpestando ogni regola istituzionale ha trasformato un vertice mondiale in un teatrino da cui rilanciare la demonizzazione di Rn e di tutte le destre. Ma quel personale sfregio alle regole di un summit gli è servito per farsi sentire in Europa e presentarsi come grande croupier delle nomine europee. Tanto da rivendicare senza neppure attendere il risultato delle legislative il ruolo di Alto Rappresentante della politica estera europea per il fedelissimo Thierry Breton attuale Commissario per il mercato interno Ue. Una stoccata rivolta ad affossare l'eventuale nomina di un Commissario italiano. Ma chi si è stupito di quanto è successo a Borgo Egnazia aveva evidentemente la memoria corta.
Perché dai cantieri St Nazaire in poi - passando per lo scontro sulla Libia e il Niger con Marco Minniti fino a quello sulla Ocean Viking all'inizio del mandato di Giorgia Meloni - Macron non ha mai rinunciato ad attaccare l'Italia. Senza accorgersi che nel frattempo l'Africa lo stava mettendo alle porte e la sua Francia si stava trasformando nell'ingovernabile feudo della sinistra antisemita di Jean Luc Melenchon.
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