Mancini da spigoloso a poliedrico. Ha riportato in alto una Nazionale ferita

Modulo, uomini, gioco: la forza delle idee e il coraggio di saperle cambiare

Mancini da spigoloso a poliedrico. Ha riportato in alto una Nazionale ferita

Musone e divisivo da calciatore, tutto genio e qualche sregolatezza, capace di rendere al meglio tra coccole (del presidente Mantovani) e spogliatoi protettivi. Ispirato e ambizioso da ct, mestiere lungo il quale ha affinato gli spigoli del carattere da allenatore emersi qua e là lungo una carriera fatta di successi tatuati nella storia. E tutti scanditi dall'identico minimo comun denominatore: il ritardo cancellato. Questo è Roberto Mancini di ieri, oggi e probabilmente di domani lanciato verso il prossimo mondiale con il pennacchio di padrone dell'Europa. Da calciatore, alla Samp conquistò l'unico scudetto, alla Lazio lo riportò 26 anni dopo quello di Maestrelli. Da allenatore debuttò con l'Inter di Moratti colmando 17 anni di vuoto pneumatico, al City segnò l'ora della Premier dopo 45 anni, in Nazionale si è spinto fino ai 53 anni accumulati tra Valcareggi, Gigi Riva e lo stadio Olimpico e Wembley 2021 illuminato a giorno dalle parate di Donnarumma. Per stabilire in modo meno didascalico la scalata di Mancini ct è sufficiente un'altra classifica che da ieri comincia a parlare italiano: è il ranking Fifa nel quale la sua Italia è balzata dal 21° posto ereditato dopo il disastro atomico di Ventura al quarto, mettendo dietro l'Inghilterra.

Tutto questo è il medagliere sul petto del ct di ritorno da Londra con la coppa tra le mani, poi c'è il resto che conta forse ancora di più. Perché significa cominciare dalle scelte, influenzate dalle conoscenze, dalle idee di calcio martellate durante i singoli raduni, per arrivare poi ai cambi in corsa che non hanno mai tenuto conto né di schemi né di gerarchie. Sono sufficienti alcuni esempi: la partenza con la Turchia è riservata a Berardi che eccitò la platea con una serie di giocate spettacolari, scortato da Locatelli addirittura a segno con la Svizzera nella seconda sfida. Quando è tornato pronto Chiesa, il ricambio è diventato naturale. Al pari di Verratti, accompagnato per mano da Parigi al recupero integrale. Da quel momento l'abruzzese è diventato il centro permanente di gravità, assistito da quel Jorginho sminatore di trappole. E così il puzzle azzurro è stato smontato e rimontato a seconda degli accidenti che pure hanno provocato più di una sosta ai box sanitari dopo i ko di Pellegrini e Sensi. Si è fermato Florenzi e Di Lorenzo è diventato il puntello di destra, si è rotto Spinazzola ed Emerson è stato promosso ad alter ego, quando si è spento il motorino di Barella prima è toccato a Pessina, nella finale a Cristante a dimostrazione che non ci sono mai stati coppie fisse ma uno spartito inventato al momento. Cambiando i rivali e le difficoltà della partita, sono cambiati gli interpreti e persino i maltrattati dal campionato (esempio didascalico Bernardeschi) hanno trovato una fetta di gloria, dal dischetto.

A dimostrazione finale che una Nazionale si compone in modo magistrale assemblando caratteri e talenti, Mancini ha ottenuto il rinascimento azzurro grazie a quei due combattenti del pallone, Bonucci e Chiellini, 71 anni in due, criticatissimi con la maglia Juve e aggiunti senza timore, ai debuttanti dell'ultima ora (Acerbi e Bastoni).

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