Martino profeta inascoltato. Così l'Italia affonda nei guai

L'ex ministro era contro le tasse e la spesa assistenziale. Ma in economia fu considerato un eretico. Purtroppo

Martino profeta inascoltato. Così l'Italia affonda nei guai

Se nelle scorse ore si è doverosamente reso onore all'Antonio Martino uomo politico, interprete del thatcherismo e del reaganismo, galantuomo e liberale, oltre che formidabile oratore, è giusto pure ricordare come egli sia stato un economista controcorrente e per questo assai isolato nel contesto italiano, dove accademia e mondo culturale hanno quasi sempre mostrato ostilità verso le sue tesi: giudicate estremiste e inattuabili.

L'Italia e l'Europa, però, si troverebbero ora in una situazione assai migliore se si fosse prestata attenzione ai suoi insegnamenti.

Quale economista monetario, Martino fu sempre fedele alla lezione del maestro, Milton Friedman, avverso a ogni arbitraria e illimitata espansione della quantità di valuta. Di conseguenza, se negli anni in cui fu alla guida della Bce Mario Draghi avesse ascoltato le tesi monetariste difese da Friedman e da Martino stesso oggi non ci troveremmo di fronte a questa inflazione che sta producendo un deciso innalzamento dei prezzi e sta generando il progressivo impoverimento di larga parte della società.

Oltre a chiedere rigore sul fronte monetario, egli avversò sempre quella che il suo amico Pascal Salin ebbe a chiamare la «tirannia fiscale» che caratterizza l'epoca contemporanea, ma al tempo stesso vide nel debito pubblico lo strumento di uno Stato invadente e clientelare, in grado di comprare il voto degli elettori di oggi con un debito scaricato sui lavoratori di domani. Oggi l'Italia non sarebbe «un Paese per vecchi», che costringe tanti giovani laureati e no a trasferirsi a Londra oppure in Germania, se il ceto dirigente italiano avesse compreso la lezione del professore.

Da siciliano innamorato della sua terra, inoltre, egli ebbe sempre parole di fuoco contro quella redistribuzione assistenziale che in linea teorica sarebbe «a favore del Sud» e che da decenni penalizza le aree più produttive con un prelievo spropositato e quelle più povere con una crescente politicizzazione dell'economia e della società. E se da un lato egli pensava che Roma stesse sbagliando tutto con le sue politiche meridionaliste, d'altro lato era pure assai scettico dinanzi al progetto di Bruxelles, volta a creare un potere centrale sempre più forte e tale da indebolire nazioni, regioni e città. Il suo spiccato amore per l'America (aveva studiato a Chicago), lo portava inoltre a comprendere l'importanza dell'autogoverno, che tende a responsabilizzare tutti, e di quella concorrenza federale che crea una sorta di mercato tra governi locali.

Su quasi ogni dossier, purtroppo, Martino è rimasto inascoltato. Il nostro sistema educativo sarebbe ben diverso se si fosse adottato come egli suggerì per anni, assieme a Dario Antiseri e Lorenzo Infantino quello strumento del buono-scuola che permetterebbe a chiunque di scegliere tra scuola pubblica e privata. E non avremmo pensioni al collasso se si fosse compresa la sua proposta di favorire accumulazioni individuali: come s'è fatto in Cile.

Per giunta, Martino veniva da studi di diritto e in questo senso fu sempre ben consapevole della necessità di provare a vincolare la rapacità, la spregiudicatezza e l'irresponsabilità dei politici con regole costituzionali.

Riprendendo alcune tesi del premio Nobel per l'economia James Buchanan, egli suggerì infatti d'inserire in Costituzione ben precisi vincoli alla possibilità di spendere e tassare: in sostanza, di disporre delle risorse e della vita dei cittadini.

Nessuna di queste sue idee, purtroppo, è stata accolta dalla classe politica. E se oggi le nostre prospettive appaiono tanto cupe, molto si deve proprio a questo.

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