Altro che «liberali da divano»: Domenico Arcuri finisce assediato dai big della grande distribuzione che minacciano lo stop alla vendita di mascherine. Il refrain della protesta è lo stesso ma il fronte si è allargato.
Il prezzo imposto di 50 centesimi l'uso rischia di allontanare il già distante orizzonte disegnato dal commissario straordinario per le forniture sanitarie. Cioè mascherine italiane per tutti, ma non proprio a tempi record: «Perché la produzione nazionale sostituisca le importazioni, secondo le nostre valutazioni - ha riferito ieri alla Camera Arcuri - servirà almeno arrivare alla fine dell'estate». «Le Regioni ne hanno già pronte 47 milioni» assicura, ma intanto è partita la ritirata di alcune aziende: dopo la doccia fredda del prezzo a 0,50 vale la pena riconvertire la produzione? Un pasticcio. Tanto che l'azzurro Sestino Giacomoni ieri alla Camera, chiedendo forniture gratis alle fasce deboli, non ha risparmiato frecciate al commissario: «Le riferisco di un avviso visto a Roma: Mascherine 5 euro, per quelle a 0,50 chiedete ad Arcuri».
La produzione «autarchica» auspicata da Arcuri potrebbe sbattere proprio sul prezzo fisso imposto ignorando i fattori di mercato. Specie ora che la grande distribuzione insorge. Primo a muovere all'attacco il gruppo Crai: spiacenti ma «siamo nell'impossibilità di vendere le mascherine a un prezzo inferiore al loro costo di acquisto». Per ora via dagli scaffali. A seguire sono arrivare anche le prese di posizione di Conad e Federdistribuzione, l'associazione di categoria che rappresenta gruppi come Esselunga e Carrefour Italia, che al governo chiedono lo stesso trattamento delle farmacie: avere accesso agli stessi fornitori ed essere risarciti del costo superiore ai 50 centesimi sostenuto per le mascherine già importate a prezzi decisamente superiori. Arcuri, spiegano gli importatori parla di prezzi schizzati dagli 8 centesimi pre-virus ai 5 euro, ma dimentica che è salito il costo della materia prima e anche quello del trasporto, visto che il traffico aereo e navale è crollato dopo lo scoppio dell'epidemia.
Nessuno, comprensibilmente, vuol restare con il cerino in mano rimettendoci centinaia di migliaia di euro. E così è partito il pressing delle lobby. Ai farmacisti sono bastate poche ore per far capitolare Arcuri. Il commissario che fa la voce grossa con i «liberali da salotto», sta per firmare un accordo con Federfarma con il quale accetta di pagare con soldi pubblici l'extracosto sostenuto dalle farmacie rispetto al prezzo imposto di 50 centesimi. E ora, ovviamente, anche la grande distribuzione chiede lo stesso: accesso ai medesimi fornitori delle farmacie e rimborso dell'extracosto. Alla richiesta, stranamente, non si è accodato il gigante Coop che forse preferisce gestire diversamente i rapporti con un governo amico. Basta guardare la proposta di Legacoop che offre ad Arcuri 500mila mascherine lavabili a 25 centesimi l'una «considerando la possibilità di utilizzo della mascherina fino a 15 volte». Cioè 25 centesimi per 15, che fa 3,75 euro l'una, altro che 50 centesimi. Risparmieremo almeno l'Iva, perché il ministro Gualtieri assicura che nell'atteso decreto aprile ci sarà l'esonero Iva per il 2020 e la riduzione al 5% per il 2021. Di sicuro, gli sforzi di Arcuri non fermano speculazioni e caos.
In cui nascono storie come quella di Irene Pivetti, indagata da tre procure per l'importazione di mascherine non a norma. Lei assicura che è tutto in regola. Intanto la Gdf ha sequestrato documenti alla Protezione civile che le aveva ordinate.
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