Matteo Renzi è indubbiamente uno dei protagonisti principali della vita politica del nostro paese. Ha scalato molto rapidamente la strada ardua e difficile degli incarichi istituzionali (da presidente di Provincia, a sindaco, a presidente del Consiglio), grazie anche al carattere deciso e alla sua comunicazione spesso dirompente. E ha goduto di una grande popolarità durante il periodo del suo governo. Tuttavia, come è noto, la bruciante e netta sconfitta al referendum istituzionale ha interrotto bruscamente la sua ascesa. Dopo il voto del 4 dicembre anche la sua popolarità è calata, benché i primi segni di un declino del consenso degli elettori si fossero già mostrati durante l'ultimo periodo dell'esecutivo da lui presieduto. Si tratta di un trend che è poi proseguito nel tempo, ma che si è accentuato negli ultimi mesi, in coincidenza all'esplodere delle fratture all'interno del Pd e del centrosinistra in generale che ha portato alla scissione del partito e alla formazione di Mdp. Questi accadimenti hanno attenuato le simpatie per le forze di centrosinistra in molti elettori, indebolendo nell'insieme la base elettorale dello stesso Pd. Per ciò che riguarda Renzi in particolare, negli ultimi quattro mesi, conformemente al trend già iniziato in precedenza, la popolarità ha subito un brusco calo. Oggi egli riceve un giudizio positivo da poco meno del 30% della popolazione (29.7%), mentre nel luglio scorso questo valore superava il 37% (ma, come si è detto, era già sceso rispetto ai mesi precedenti).
È quanto emerge da un sondaggio, effettuato dell'Istituto Eumetra Monterosa di Milano, intervistando un campione rappresentativo della popolazione ai di sopra dei 17 anni di età.
A Renzi vengono imputate dagli intervistati una pluralità di «colpe». Dal non essersi messo da parte, malgrado una promessa in questo senso, dopo il referendum del 4 dicembre al non avere assunto una linea veramente di «sinistra» nel Pd, all'essersi circondato del «giglio magico», sino all'avere, a detta di alcuni, semplicemente un brutto carattere.
Appaiono avversi al leader toscano più le donne che gli uomini, le persone in età centrale, i residenti nel nordest. Ma gli elementi più interessanti emergono osservando la distribuzione degli intervistati secondo l'intenzione di voto. È ovviamente scontato che la maggioranza dei votanti per i partiti di opposizione dia un giudizio negativo sulla figura di Renzi: dichiarano di avere sfiducia in lui il 64% degli elettori di Forza Italia e l'85% di quelli della Lega Nord e del Movimento Cinque Stelle. Ma è molto significativo che il giudizio negativo sull'operato recente di Renzi sia presente anche nelle fila del Pd: qui il 27% dei votanti (vale a dire addirittura più di un quarto dell'elettorato del Pd) manifesta il suo scarso gradimento della figura di Renzi. Com'era ragionevole attendersi, naturalmente, la maggioranza dei votanti per il Pd, il 68%, ne dà un giudizio positivo, ma ciò che colpisce, in questo caso, è il trend negativo, dato che la quota è andata diminuendo fortemente negli ultimi mesi.
Alla decrescita di popolarità di Renzi fa da contraltare il netto incremento del consenso per l'attuale presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni. Per la verità, più che per le scelte del governo che presiede, Gentiloni viene apprezzato per il suo stile comunicativo più riservato e meno invasivo, ad esempio meno presente nei talk show.
Resta il fatto che, a fronte del 43% di giudizi positivi rilevato a luglio (e già allora superiore al dato relativo a Renzi), Gentiloni riceve oggi una valutazione di soddisfazione per il suo operato recente dal 51% di intervistati, la maggioranza assoluta. In particolare, il 21% ne dà un giudizio «molto» positivo, mentre il 30% si limita ad esprimere una valutazione «abbastanza» consenziente. Esprimono maggiore approvazione per Gentiloni le persone meno giovani (oltre i 50 anni di età), ma anche i laureati, i residenti nei centri urbani più popolati (oltre i 100.000 abitanti). Anche in questo caso, appaiono di grande interesse i dati relativi all'orientamento politico: Gentiloni riceve infatti il 72% di consensi all'interno dell'elettorato Pd (quindi più di Renzi), ma anche il 44% di valutazioni positive tra i votanti di Forza Italia (con, però, una netta diminuzione rispetto al luglio scorso, quando erano il 65%) e il 36% tra quelli della Lega Nord. Tra i grillini i giudizi favorevoli sono il 38%.
Anche la crescente difformità tra il consenso di Renzi e Gentiloni è dunque un indice della crisi che sta minando il Pd. Con un segretario che diminuisce in popolarità e un presidente del Consiglio, espressione dello stesso partito, che invece la accresce sensibilmente. È difficile dire oggi quali saranno le conseguenze di questa situazione nelle prossime elezioni politiche, perché mancano molti mesi e la campagna elettorale sarà sicuramente decisiva.
Ma sia il livello attuale di intenzioni di voto rilevate nei sondaggi (oggi circa il 25%), sia gli esiti non positivi delle ultime amministrative e delle elezioni siciliane sono indicatori importanti degli effetti dei dissidi interni sul seguito del Pd.
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