Questa non è la storia di un sopravvissuto ma di un medico che permette al prossimo di sopravvivere. È la storia di un uomo che ha scelto di dedicarsi alla medicina e alle missioni regalando un destino ai bambini malati di cuore. Incontrare e parlare con Alessandro Frigiola, classe 1942 e dal 1990 primario della divisione di cardiochirurgia nel Centro Cardiovascolare Edmondo Malan del Policlinico San Donato Milanese, sono un antidoto al pessimismo e all'utilizzo dei luoghi comuni.
Un luogo comune sfatato è quando Frigiola racconta come «gli Italiani, sono un popolo di persone generose». Una iniezione di sano ottimismo di cui il nostro, troppo spesso vituperato e criticato, Paese ha sicuramente bisogno. Il professor Frigiola nasce a Bressanone, da una mamma casalinga e da un papà dipendente dell'Inps, anche se subito a quattro anni si trasferisce a Vicenza dove ancora oggi vive. Si forma al liceo classico e nel 1970 decide di iscriversi alla Facoltà di Ingegneria a Padova: «da Vicenza a Padova ci sono 35 chilometri e con dodici amici facevamo la gara per vedere chi in macchina o lambretta arrivava prima», ci racconta. «Il record era 13 minuti». Ma quell'inizio goliardico di un gruppo di amici vicentini si interruppe subito il primo anno di corso. L'estate del 1971, infatti, Alessandro Frigiola lesse un libro importante per la sua scelta professionale e umana «la Cittadella» di Joseph Cronin. Il romanzo tratta di un giovane idealista dottore scozzese, Andrew Manson, che si rende conto dell'arretratezza delle Università e della superficialità con cui i medici trattano i loro pazienti.
La lettura folgorò il nostro professore che decise di cambiare facoltà e dedicarsi a medicina. Già durante gli studi universitari Frigiola s'iscrisse al Cuamm, una organizzazione umanitaria che cura i malati in Africa, percependo come la sua attitudine fosse quella di aiutare chi una cura non può permettersi. Così andò più volte nei paesi del terzo mondo dove ebbe la fortuna di incontrare in qualche occasione un grande italiano missionario: padre Giuseppe Ambrosoli il missionario medico che operò per trent'anni in Uganda. Frigiola decide di specializzarsi e diventare cardiochirurgo infantile. Questa scelta fu presa comprendendo come, negli anni '70, la mortalità dei bambini malati di cuore fosse quasi del 50 % e che il lavoro, o meglio la missione era enorme; si era dei veri e propri pionieri. Una volta laureato Frigiola si trasferisce per qualche anno a Marsiglia, dove il suo maestro, il professor Jose Aubert, lo inizia alla professione e dove avviene un episodio che sicuramente ha segnato la sua vita. Essere cardiochirurgo infantile significa avere a che fare quotidianamente con la vita e la morte di una persona speciale, un bambino.
È la battaglia giornaliera tra il lottare, a volte apparentemente contro il destino, o l'arrendersi. Così Amadu, un bambino di quattro anni, entra nella sala operatoria dell'ospedale di Marsiglia per un'operazione al cuore affetto da una patologia congenita. Dopo ore di intervento iniziano i tentativi di rianimare il cuore del piccolo Amadu che è tenuto in vita grazie alla macchina cuore polmone e alla circolazione extracorporea del sangue. Per quattro ore l'equipe del professor Aubert con il professor Frigiola cercano di rianimarlo ma nulla da fare. Aubert sconsolato getta la spugna e chiede che la macchina cuore polmone sia spenta. Frigiola non ci sta e rimane per altre quattro ore a massaggiare quel piccolo cuore fin quando, improvvisamente, riprende a battere e a vivere. Un episodio che ha profondamente motivato il professore.
Durante un viaggio missione in Vietnam con il professor Lecompte fonda un'associazione per i bambini con malformazioni cardiache nei paesi poveri. «Non potevo vedere», racconta Frigiola «migliaia di bambini morire di cuore entro il primo anno di vita senza fare nulla» e così insieme alla professoressa Silvia Cirri fonda l'associazione Bambini Cardiopatici nel mondo. Presente in 26 Paesi l'associazione non soltanto invia mensilmente medici in missioni per operare i bambini con patologie cardiache trasformando spesso delle tende da campo in ospedali super attrezzati e tecnologici ma forma, all'Ospedale di San Donato Milanese, i medici locali perché questi, da soli possano operare e guarire altri neonati. Oggi Alessandro Frigiola ha operato circa dodicimila pazienti di cui più della metà bambini facendo parte di quasi quattrocento missioni.
Una vita da missionario laico che stupisce ancor oggi per energia e progettualità chi gli sta accanto ma che ha in una frase la ragione più profonda della lotta quotidiana per la vita «non mi riesco mai abituare alla morte» mi dice congedandosi per andare a visitare un paziente.@terzigio
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