«Il primo segnale di una fronda della magistratura che salda diverse correnti e punta a boicottare non tanto la riforma della Giustizia nel suo complesso quanto un suo specifico passaggio». È così che a Palazzo Chigi leggono la sentenza che venerdì scorso non ha convalidato il fermo dei primi 12 migranti arrivati nel Cpr albanese di Gjader, con un dispositivo scritto e firmato da Silvia Albano, giudice della sezione immigrazione del tribunale di Roma e - soprattutto - presidente di Magistratura democratica.
Non un dettaglio, quest'ultimo. Anzi, secondo chi in queste ore ha avuto occasione di parlare con Giorgia Meloni, è la conferma che dopo mesi di interlocuzioni sottotraccia tra politica e magistratura - mediate anche dagli uffici del Quirinale - si è aperto il vaso di Pandora. Il ddl firmato dal Guardasigilli Carlo Nordio che è attualmente in discussione alla Camera, infatti, non piace affatto a buona parte dei magistrati. Non tanto - o non troppo - nella parte in cui introduce la separazione delle carriere (che comunque non entusiasma affatto le toghe), quanto per la riforma del Csm. Che dovrebbero diventare due (uno per i giudici e uno per i pm) e, soprattutto, con i consiglieri non più eletti ma indicati per sorteggio. Circostanza che - ben più dell'introduzione dell'Alta Corte, destinata a privare Palazzo dei Marescialli della competenza disciplinare - toglierebbe alle correnti della magistratura il loro principale potere: quello di lottizzare la nomina di tutti i ruoli di vertice delle procure italiane. Di fatto, il Csm si trasformerebbe in un organo squisitamente amministrativo di gestione del personale. Con buona pace delle diverse correnti interne alla magistratura, che sono dei veri e propri centri di potere politico-giudiziario (non a caso si differenziano in base alla loro inclinazione politica). Ecco perché il fatto che la sentenza di venerdì scorso sia stata scritta dalla presidente di Magistratura democratica, la corrente di sinistra delle toghe, è stato interpretato a Palazzo Chigi come il segnale dell'apertura delle ostilità. È vero che Albano è una giudice del tribunale di Roma competente per l'immigrazione, ma è del tutto evidente che il suo ruolo di presidente di Md e il fatto che si fosse già pubblicamente espressa contro il protocollo Italia-Albania e pure in altre circostanze contro il governo Meloni, avrebbero forse suggerito che a occuparsi del caso fosse uno degli altri 15 giudici che lavorano nella sua sezione.
La vera partita in corso, insomma, sarebbe la riforma del sistema di elezione dei consiglieri del Csm (sia togati che laici). Un fronte sul quale Meloni ha intenzione di tirare dritto. Ancora più di prima, spiega chi l'ha sentita. La riforma della Giustizia, dunque, dovrebbe essere approvata in prima lettura alla Camera già entro fine anno, al massimo tra gennaio e febbraio visto che l'arrivo in commissione Affari costituzionali del decreto flussi potrebbe rallentarne l'iter.
Certo, il timore è che il livello dello scontro sia destinato ad alzarsi nei prossimi mesi. E forse è anche per questo che ieri la premier è stata piuttosto concisa (un saluto di benvenuto e uno di congedo) durante il Consiglio dei ministri che ha approvato il decreto Paesi sicuri dopo un lungo confronto con il Quirinale che ha coinvolto soprattutto il Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi di Palazzo Chigi (che ha fatto la sintesi delle proposte arrivate da Interno e Giustizia) e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano. Uno dei pochissimi ad avere in mano il testo del decreto, limato fino all'ultimo minuto utile.
E che alla fine è stato solo illustrato a voce ma non distribuito agli altri ministri.Un decreto che al Quirinale non escludono possa essere firmato con riserva, accompagnato da una lettera di osservazioni del capo dello Stato come già accaduto per le norme sui balneari.
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