Cominciamo col dire che il lungo addio di Angela Merkel alla politica non si conclude oggi. La Cancelliera sa bene di dover rimanere in carica probabilmente per qualche mese ancora, in attesa che venga sbrogliata la ingarbugliatissima matassa del post voto e la Germania possa avere un nuovo governo guidato dal suo successore. Solo allora potrà concedersi quel desiderato viaggio in auto attraverso gli Stati Uniti, con colonna sonora di Bruce Springsteen, di cui ha parlato ai giornalisti: con questo recupero di giovanilismo della pensionata Angela si compirà così la trentennale parabola di colei che è stata definita la donna più potente del mondo, e che il suo mentore Helmut Kohl aveva etichettato forse sottovalutandone la precoce maturità che conteneva in nuce quella bella dose di cinismo che gli fu politicamente fatale come das Maedchen, «la ragazza».
Altro che ragazza, la futura Cancelliera era nata adulta, e sapeva fin dal principio che il crollo del Muro le avrebbe dato un'occasione unica: quella di sfruttare le sue eccellenti qualità intellettuali e politiche per diventare all'interno della Cdu lei donna e «Ossi», cioè tedesca orientale la perfetta figura di cui aveva bisogno Kohl il Riunificatore per sfondare nella ex Ddr. E quello fu il trampolino da cui cominciò, determinata e con le idee chiarissime, orientale e occidentale allo stesso tempo (è nata ad Amburgo, tra l'altro, figlia di un pastore protestante che accettò senza problemi morali di compiere all'inverso il viaggio tra le due Germanie), la sua nuotata trionfale nel vasto mare della politica tedesca, europea e mondiale. È stato autorevolmente scritto che il pragmatismo è stato allo stesso tempo la forza e il limite di Angela Merkel. Lo pensiamo anche noi. La donna che ha scelto, arrivata a 67 anni e dopo 16 ininterrotti al potere, di non ricandidarsi alla Cancelleria era una centrista da manuale: privilegiava il dialogo e il compromesso, dava il meglio di sé nei negoziati, aveva un'abilità quasi saprofitica di pescare dai programmi degli altri partiti i temi più popolari (basti ricordare la spregiudicata scelta di rinunciare al nucleare) e di farli propri senza mai dare l'impressione di esser venuta meno ai propri principii. Pragmatica e concreta fino al camaleontismo, se occorreva. Ma è stato proprio il frequente ricorso a questo pragmatismo ad attirarle la critica più ricorrente, quella di non aver avuto un'agenda politica ben riconoscibile come propria al di là dell'adesione ai principii democratici e liberali dell'Occidente (che non è poco, in tempi di delirante autofustigazione al di qua e al di là dell'Atlantico). Di essere stata, secondo una definizione che le fu appiccicata addosso e che ebbe molta fortuna, una leader riluttante, soprattutto in ambito internazionale: il suo limite, appunto.
A ben vedere, Angela Merkel ha sì evitato di attribuire fino in fondo alla Germania da lei guidata il ruolo politico di locomotiva d'Europa che nessuno era in grado di contestarle in campo economico, ma non è vero che non abbia saputo compiere scelte forti, il che vuol dire anche impopolari. La Cancelliera regolarmente accusata di navigare a vista con un occhio sempre fisso sui sondaggi d'opinione è la stessa che nel 2015 ha deciso di dare un esempio all'Europa (forse guardando anche agli interessi dell'industria tedesca, certo, ma chi al suo posto non lo avrebbe fatto?) aprendo le frontiere alla temuta ondata di profughi dalla Siria: il suo slogan in quella circostanza fu il famoso Wir schaffen das, «ce la facciamo». A dare una casa, a far studiare e lavorare un milione di stranieri che più stranieri non si può, quasi tutti musulmani tra l'altro, in un momento in cui il sanguinario terrorismo islamico era fonte di angoscia fra i tedeschi. La Merkel pagò un prezzo politico molto caro per questa scelta, regalando milioni di voti alla estrema destra xenofoba, e fu accusata di aver commesso un grave errore: ma lo fece lo stesso, e non se ne pentì mai. È la stessa che di fronte all'emergenza della pandemia di Covid ha acconsentito ad abbattere un tabù aprendo la strada a quell'erogazione di fondi comunitari che permette e permetterà in primo luogo all'Italia grazie soprattutto ai denari tedeschi di affrontare una crisi potenzialmente catastrofica.
Qualcuno può anche accusarla di aver spesso predicato bene e razzolato male, soprattutto in tema di diritti umani nei confronti della Russia e della Cina: sostegno e cure ad Aleksei Navalny ma un sì convinto al gasdotto del Baltico che tanto piace a Vladimir Putin (e a Gerhard Schroeder...
), belle parole per i disgraziati di Hong Kong e contratti lucrosi per le aziende tedesche con la Cina liberticida di Xi Jinping. Ma neanche la figlia di un predicatore luterano, così pragmatica poi, s'illudeva di poter cambiare il mondo dalla Cancelleria di Berlino.
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