La metamorfosi di Conte: da mediatore a leader M5s

Il premier esce dal ruolo super partes: fa da sponda ai grillini e ora sempre più spesso bacchetta il leghista

La metamorfosi di Conte: da mediatore a leader M5s

Prima di scorrere queste righe, sarebbe forse meglio dare un'occhiata alla grande foto di queste pagine: il «bel pomeriggio insieme nella campagna fiorentina», come l'ha descritta il premier Giuseppe Conte in un post sull'immancabile Facebook. «Lavoriamo con la massima concentrazione per gli interessi degli italiani», lo slogan ormai stra-usurato con il quale ha concluso il bucolico quadretto. «Bene le parole e le discussioni, rispettando ognuno le idee dell'altro, ma non perdiamo mai di vista la ragione sociale per cui siamo al governo», il monito del premier.

Lo prendiamo in parola, perché forse ora sarebbe proprio il caso di concentrarsi su questo concetto-cardine: la «ragione sociale» di questo governo. Presi dalle quotidiane risse, dai punti del contratto sbandierati ora dall'uno ora dall'altro, pare essere giusto questo il deficit abissale nel quale si dibattono i gialloverdi al governo. Tanti motivi personali (taluni legittimi, per carità) non fanno visione d'insieme. Tante «ragioni» separate, una «ragione di fondo». Se è comprensibile, in fondo, quella di Luigi Di Maio, la mission di Conte appare sempre più evidente: tratto dal mazzo dell'anonimato, non vorrebbe ricadervi. Da semplice «mediatore» aspira a trascendere (è già trasceso) in una funzione che più volte abbiamo descritto: una leadership che, seguendo lo spirito dei tempi, lui definisce come «avvocato del popolo». Tribunizia e dominante, oggi sarebbe corretto delinearla piuttosto come «sponda» indispensabile ai grillini, spesso liquidi come l'olio oppure aeriformi come gas. Conte rappresenta il «centro di gravità permanente» necessario alla vacuità per esistere. Nonché il secondo «braccio» della morsa che tiene avvinto (lui consenziente) il ministro Salvini (da guardare lo sguardo del capo leghista, compiaciuto e felice della propria, vana popolarità). Conte, soltanto poche ore prima, gli ha detto in pratica di «studiare» prima di parlare, e Salvini gongola. Forse ieri, con il suo fare suadente, Conte deve avergli dato ripetizioni gratuite. «Il mio motto è: sobri nelle parole, generosi nelle azioni», aveva spiegato il premier qualche ora prima a Firenze, intervenendo al Festival dell'economia civile. Slogan spesso ripetuto ai suoi ministri, ha detto, rivendicando per sé ulteriori meriti. «Fin dal mio insediamento mi sono definito come avvocato del popolo... e ora voglio essere garante di un nuovo patto sociale tra i cittadini e con i cittadini, le istituzioni dovranno esserne custodi... In questi mesi di governo ho lavorato molto a singoli provvedimenti per realizzare importanti riforme e quelle già varate non sono ancora nulla, rispetto a quelle che stiamo per realizzare». Le maggiori energie fisiche e mentali, ha aggiunto, «le ho spese per il perseguimento di un obiettivo fondamentale: ricostruire la fiducia tra le persone». Perché, spiega, «la radice dei mali dell'Italia è la perdita di fiducia; l'assenza di fiducia negli altri frena lo slancio verso il futuro e mina il funzionamento dei mercati». Così il premier sigilla la polemica con Bankitalia e Quirinale: «Non mi sembra che ci siano i presupposti per parlare di attacco alle banche, conserviamoci tutti lucidi». Mette la sordina con dispiacere alla diatriba con il ministro Fontana e le sue deleghe, che Palazzo Chigi già l'altra sera aveva smentito di aver revocato.

E minimizza i pessimi dati sulla crescita: «Non basta per valutare il livello di soddisfazione... Serve ampliare gli strumenti, affiancando al Pil il Bes, indice che misura il Benessere equo e sostenibile». Tutti felici e sorridenti, dunque: proprio come Salvini. Parola di Conte.

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