Cambiano i tempi, gli uomini e le sigle dei partiti. Non cambia il metodo: declinare le scelte e i rapporti politici sul piano etico, delegittimare gli avversari ponendoli fuori dal campo democratico, ammantare di questione morale ogni faccenda pubblica, istituzionale o amministrativa. In questo c'è continuità tra Pci e Pd.
Il passato è noto. Da Antonio Gramsci che metteva fuori gioco Giacomo Matteotti definendolo «pellegrino del nulla», a Palmiro Togliatti che espelleva per «tradimento» i dirigenti comunisti emiliani «democratici» Valdo Magnani e Aldo Cucchi disumanizzandoli in «pidocchi», al marchio di «socialfascisti» impresso sulla carne viva di Turati, di Rosselli, di Buozzi e poi di Saragat, di Nenni e di Craxi. Per non dire della tenaglia morale e giudiziaria stretta per anni alla gola di Silvio Berlusconi. In tempi recenti è capitato a Carlo Calenda, fino al primo turno delle comunali descritto come il «candidato della destra e della Lega» (Andrea Orlando) che «vuole portare Roma a Salvini» (Valeria Fedeli) pur essendo ormai al suo «ultimo rantolo» (Goffredo Bettini), per poi essere graziosamente rilegittimato dal segretario Letta in vista del secondo turno. Quinta colonna della Destra è anche l'accusa che, dopo il voto sulla legge Zan, ha portato alla sentenza di espulsione dal perimetro democratico di Matteo Renzi. Una sentenza inappellabile perché imbastita, secondo prassi, non sul piano della politica ma su quello della morale (i «diritti» offesi).
Il metodo, dunque, non è cambiato. È però cambiato il pulpito. I comunisti sentenziavano le loro scomuniche da solide cattedre politiche ben piazzate nella Storia, i post comunisti sentenziano le loro da tende scout piantate nel vuoto del presente. È cambiato il pulpito, ed è cambiato il sistema politico. Il Pci stava fisiologicamente all'opposizione e perciò non aveva bisogno di alleati, il Pd ambisce a stare strutturalmente al governo e perciò ha bisogno di alleati. E ne ha ancor più bisogno in vista del Gran Ballo del Quirinale. Si consiglia, pertanto, agli amici democratici di dismettere i panni del barone von Masoch, avviando una rigorosa analisi dei costi e dei benefici (per il partito, per il sistema politico e per la società) che questo antico ma violento metodo in effetti comporta.
Probabilmente scoprirebbero che deporre le armi dell'etica per impugnare quelle della politica li avvantaggerebbe e, spostando l'attenzione dalle persone alle cose, contribuirebbe a svelenire e rendere più concreto il dibattito pubblico in questa nostra conflittuale e un po' ipocrita Italia.
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