"La mia naia sui carrarmati. Che incubo la sveglia all'alba"

Giancarlo Magalli: provai a fingermi malato per evitare il militare. Poi la mia fidanzata mi lasciò, e allora partii

"La mia naia sui carrarmati. Che incubo la sveglia all'alba"

La proposta del ministro dell'Interno di ripristinare la leva obbligatoria fa discutere anche nel mondo dello spettacolo. Giancarlo Magalli non perde occasione per ricordare i tempi del suo servizio militare. «Era il 68, facevo radio, ero iscritto a Scienze politiche e quell'anno c'erano scioperi, manifestazioni. A gennaio sono partito. Allora erano 18 mesi di servizio, che ricordo come fosse ieri».

Si ricorda il periodo in cui è partito?

«Avevo già fatto un rinvio. All'università c'era un clima teso, non avevo legami sentimentali che mi trattenessero dal partire. Ero appena stato abbandonato dalla mia fidanzata storica. E allora ho scelto di non fare più rinvii».

Come cominciò?

«Ho fatto domanda alla scuola ufficiali dell'arma di Cavalleria e fui assegnato alla scuola allievi di Caserta. Ero istruttore in un Car (centro addestramento reclute) e avevo sotto di me ragazzi di tutt'Italia che arrivavano spaesati, con in mano la famosa cartolina di precetto. Tutti avevano provato ad evitare la leva con malattie inventate o menomazioni inesistenti. Ci avevo provato pure io».

Cioè?

«Mio padre era ufficiale, parlai con un suo amico per chiedergli fosse possibile evitare il militare e lui mi disse: perché invece non pensi alla scuola per ufficiali?. Gli orari sarebbero stati migliori, lo stipendio più alto. Maggiori responsabilità, ma anche maggiori privilegi. Si dorme da soli in camera, un'auto tutta per te. Serviva un diploma di scuola superiore e ce l'avevo».

Che cosa ricorda di quel periodo?

«Ragazzi coi capelli lunghi e disorientati, che provavo a trasformare in soldati. Una funzione formativa, importante solo perché la società era diversa. Molti venivano dalle campagne, non avevano mai avuto vita sociale e in caserma reagivano isolandosi, litigavano. Bisognava dialogare, fargli capire alcune regole di convivenza. Alcuni non si lavavano, parecchi erano analfabeti. Facevo lezioni in cui spiegavo rispetto delle regole civili, regolamento, per formarli a uno spirito comunitario».

Sembra un mondo lontano.

«Lo è. In caserma si poteva prendere il diploma elementare, imparare a leggere e scrivere. Oggi con internet, i social, i ragazzi socializzano ovunque e c'è meno ignoranza. Allora la leva aiutava a risolvere problemi sociali. Ma insegnava anche ciò che nella vita non sarebbe mai servito, come tirare una bomba a mano o far sparare un cannone. Io ero un pilota di carri armati».

Racconti.

«Ho guidato tre tipi di carrarmato, l'M24, lM113, l'M47, che era una macchina da 50 tonnellate. Se andavi contro un albero, lo abbattevi senza accorgerti. Ma ha un punto debole. Un lanciagranate, se ti spara su un cingolo, lo blocca all'istante».

Non si è mai spaventato, lanciando un colpo di cannone?

«No, perché il comando lo davo io, e lo si dà sempre a carro fermo. Il problema è il fumo dello scoppio, che si diffonde all'interno dell'abitacolo. Una puzza di zolfo che non vi dico».

Lo rifarebbe il militare?

«Mi sono divertito. Certo, imparare ad usare una mitragliatrice non mi è servito a niente. Ma il rispetto delle gerarchie, delle regole, sì, anche nel mio lavoro di conduttore. A volte sembro indisciplinato, ma ho il senso della disciplina, il rispetto per i superiori. Faccio anche parte dell'associazione nazionale Carabinieri e dell'arma di Cavalleria come ufficiale in congedo, facciamo cene annuali in uniforme».

Un tempo il militare serviva per integrarsi in società, quindi. Oggi?

«Il servizio militare ha come prima funzione la difesa del Paese, gli eserciti a questo servono. Se c'è una situazione internazionale tale da richiedere più forze oltre agli attuali volontari di leva, allora è da considerare. Ma non si può ripristinare un servizio militare solo a scopo pedagogico o per scopi educativi. Non avrebbe senso».

Qualche aneddoto se lo ricorda?

«Subivo la sveglia, non mi

alzavo in orario. Alla terza o quarta volta in cui arrivai in ritardo all'alzabandiera, mi beccai cinque giorni di arresto. Ma vi dirò, questa cosa del ritardo mattutino l'ho risolta da poco tempo. La leva è servita a poco».

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