P er il secondo giorno consecutivo, i riflettori, le piazze e gli hashtag più roventi sono stati tutti per loro, quelli che ora dicono «Basta ya!» («smettetela!») gli stra-indignati della questione catalana. Quelli rimasti, fino a 48 ore fa, a guardare dal balcone della storia la «sistematica e spavalda violazione della Costituzione» e «il livello ridicolo raggiunto dalle istituzioni di Barcellona e Madrid», come era scritto su uno striscione davanti al palazzo della Generalitat. Qui e in altri luoghi strategici, se il governatore catalano Puigdemont non farà dietrofront o interverrà un arbitrato internazionale a calmare le acque, i blindati dell'esercito prenderanno posizione. È il pugno di ferro di Madrid che, non essendo riuscita a fermare il referendum, ora si affida allo spauracchio della forza.
Domenica erano fuori nelle strade di Barcellona, finalmente allo scoperto, in migliaia per le strade della Ciutat Comdal che, per oltre dieci giorni sotto, l'invasione dei separatisti, ha trasmesso al mondo l'immagine distorta di avere smarrito irrimediabilmente il senno. #RecuperemElSeny, hanno twittato in migliaia. Per l'emittente regionale catalana, Tv3 (solitamente schierata con l'esecutivo di Puigdemont) è stata la più grande concentrazione di unionisti mai vista a Barcellona. «Siamo quasi un milione», annunciavano nel tardo pomeriggio le organizzazioni per l'unità (Scc), mentre per i Mossos, noti simpatizzanti indipendentisti, erano solo in 350mila. Non è un'opinione che era uno tsunami rosso e giallo di bandiere spagnole che, da mezzogiorno, ha iniziato a inondare la Via Layetana, sede della Policia Nacional, acclamata e salutata dalla folla con lunghi applausi per avere difeso la democrazia.
A Catalunya, la piazza centrale, prima simbolo degli Indignados, poi dei separatisti e, ora, restituita agli unionisti, c'era il Nobel per la letteratura Mario Vergas Llosa, assieme al prefetto spagnolo in Catalogna Enric Millo e il ministro della Sanità madrileno Dolors Montserrat. Llosa, peruviano, naturalizzato spagnolo e residente a Madrid, verso sera, ha pronunciato un breve discorso: «Ci vuole molto più che una congiura golpista organizzata da Puigdemont, Junqueras e Forcadell per abbattere ciò che 500 anni di storia hanno costruito», scatenando un'ovazione che ha fatto tremare l'asfalto. «Non lo permetteremo mai. Siamo qui, siamo cittadini pacifici. Crediamo nella coesistenza e nella libertà. La democrazia oggi è qui e rimarrà».
Tra i politici presenti alla manifestazione, anche l'ex presidente dell'Europarlamento Josep Borell, la governatrice della Comunità madrilena Cristina Cifuentes e il presidente di Ciudadanos, Albert Rivera, unionista convinto che da settimane chiede al Parlamento di esautorare il Parlament catalano.
Rajoy, riunito con i collaboratori per afferrare una mediazione internazionale o ecclesiastica e uscire dallo stallo in cui il dialogo si è disastrosamente arenato, ieri pomeriggio ha twittato: «In difesa della democrazia, della Costituzione e della libertà. Preserviamo l'unità», aggiungendo l'hashtag di Felipe VI, #NoEstáisSolos, «Non siete soli», rivolto proprio a loro, alla maggioranza silenziosa, ritornata a farsi sentire, dopo la momentanea l'oligarchia dei separatisti. Mariano Rajoy, domenica, in una lunga intervista a El País aveva parlato di un «governo di concentrazione», per uscire dalla crisi o di «unità tra i partiti di governo».
Intanto martedì Puigdemont è atteso al Parlament per riferire sulla situazione. Molti analisti dicono che farà un passo indietro, non proclamerà. Su di lui pende la minaccia di una Catalogna commissariata e invasa dalle truppe di Madrid.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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