Il Parlamento riapre e va in scena il processo contro il governo sulla gestione dell'emergenza Coronavirus. La formula è quella del question time. Ma nei fatti è un elenco di falle contenute nel piano varato dall'esecutivo per contenere la diffusione del Covid-19.
Sul banco del governo (imputato) quattro ministri: Federico D'Incà (Rapporti con il Parlamento), Lucia Azzolina (Istruzione), Fabiana Dadone (Pubblica amministrazione) e Alfonso Bonafede (Giustizia). I ministri sono chiamati a rispondere alle interrogazioni (due per ogni gruppo) dei deputati su ritardi e inadempienze. Il processo si svolge in un'atmosfera surreale (aula semivuota e deputati con le mascherine) e si interrompe solo per le lacrime del deputato Daniele Belotti della Lega che illustra l'interrogazione ricordando i morti in Lombardia. A far da parafulmine del governo è il ministro D'Incà. Due accuse inchiodano l'esecutivo: la carenza di mascherine e il ritardo con cui vengono effettuati i tamponi. Da Nord a Sud cresce la rabbia. Soprattutto tra operatori sanitari (già 33 morti) e forze dell'ordine costretti a lavorare senza protezione. La falla più pericolosa è sui tamponi: ritardo che non consente di avere un numero certo sui contagiati. Mentre le parole del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede sono un'ammissione di colpa: «Con il Cura Italia usciranno dal carcere 6mila detenuti». Vittorio Sgarbi (Gruppo misto) accusa il Guardasigilli: «Lei dovrebbe essere indagato perché nelle celle non si rispetta la distanza (un metro) tra persone».
Ma il processo si allarga alle difficoltà (soprattutto nel Mezzogiorno) per l'accesso alla didattica a distanza e agli uffici pubblici sprovvisti di strumenti per attuare il lavoro agile. Gigi Casciello, deputato di Forza Italia, punta il dito contro il ministro Azzolina: «Non ha dato risposte adeguate nemmeno oggi. Persino su come intendano regolarsi per gli esami di maturità e sulla valutazione a distanza ritenuta dai più non legittima né riconosciuta». L'imbarazzo dei ministri è palpabile.
D'Inca prova a mettere in campo una debole difesa contro le accuse dei parlamentari. Sulla carenza di mascherine e tamponi, il ministro ammette la falla: «La produzione di dispositivi di protezione individuale e di dispositivi medicali è dislocata prevalentemente fuori dal territorio nazionale. Pertanto si riscontra una maggiore difficoltà nel loro reperimento. I prezzi ormai sono fuori controllo». Ma assicura: «I dispositivi vanno distribuiti in via prioritaria ai medici e agli operatori sanitari e socio-sanitari, senza distinzione di sorta in relazione alla tipologia di struttura di cura o residenziale presso la quale operino».
Dalle parole del ministro non arriva alcuna certezza su rimpatrio dei connazionali e numero dei deceduti: «Lavoriamo per garantire il rientro in Italia di tutti i connazionali all'estero. Il numero dei deceduti della Regione Lombardia è pari al numero 4.178 al 24 marzo 2020. Il dato reale delle persone decedute potrà essere rilevato solo ex post tramite un'attenta analisi delle cartelle cliniche di ciascun soggetto. Per questo motivo, è stato creata una task-force».
Il più bersagliato è il ministro della Giustizia Bonafede. Italia Viva (Lucia Annibali e Gennaro Migliore) chiede le dimissioni del capo del Dap Francesco Basentini.
L'ex sottosegretario alla Giustizia Jacopo Morrone (Lega) accusa il governo di resa con la scarcerazione di migliaia di detenuti. Accuse che Bonafede prova a respingere ma deve, come si diceva, ammettere: «Usciranno dal carcere potenzialmente 6mila detenuti».
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