nostro inviato a Capriate (Bg)
Guardare la vita con gli occhi di un bambino ha i suoi vantaggi. Anche quando sei un finanziere che si occupa di acquisizioni, fondi, investimenti, affari immobiliari. L'occasione giusta per Giuseppe Ira, bergamasco, con un cognome siciliano, di 62 anni, arriva nel 2007.
Minitalia, il vecchio parco divertimenti sull'orlo del fallimento, è in vendita. Eccola l'illuminazione: fulminea, lampante come una visione; c'è il fiuto dell'imprenditore navigato e il coraggio di un ex fanciullo che sa ancora sognare, innamorato del mondo del parco divertimenti, dell'incanto. «Minitalia era perfetta negli anni '70, vecchio concetto di divertimento educational, andavi e vedevi l'Italia in miniatura appunto. Un museo». Quel posto ormai in abbandono, costruito nel 1971 da una famiglia di Capriate, i Pendezzini, ha ancora grandi potenziali e lui li vede tutti. «Combatto contro i miei soci che volevano farci un grande centro commerciale, io immagino tutt'altro. E vedo giusto». L'autostrada è lì, davanti al parco, nel punto più strategico d'Italia, quaranta minuti da Milano, attorno c'è la ricca provincia di Bergamo, in mezzo a Veneto, Piemonte, l'aeroporto di Orio al Serio, di Malpensa.
Lui non distrugge niente, lascia Minitalia intatta, costruisce e amplia attorno. Sono passati dieci anni da quella pazza idea e oggi l'imprenditore può dire di aver vinto la scommessa. Lo dicono i fatturati, passati da meno tre milioni e mezzo a 30 milioni di oggi, con un utile di 6 milioni, oltre un milione di visitatori l'anno, i premi, il primo posto su TripAdvisor, 600 dipendenti, e investimenti previsti per oltre 40 milioni di euro. Il presidente racconta mentre prepara il caffè da solo. «E non prendiamoci in giro. Io ho anche la fortuna di avere tutte le C al posto giusto: coraggio certo, e anche c... che nella vita ci vuole sempre».
Spiega e si illumina; e lo vedi il guizzo, quella sana voglia di fare, di creare benessere. «Appena ho preso il parco, sono partito per Disneyland, California, volevo imparare, fare come loro. E lì ho capito l'importanza degli spettacoli, della tematizzazione, del divertimento come esperienza. Io non sono in competizione con Gardaland o Mirabilandia, io sono diverso. Mi sono voluto specializzare su qualcosa che in Italia non c'era, per i bambini in età prescolare. Io regalo ai piccoli ospiti il sogno non solo di passare una giornata con i loro personaggi preferiti, ma di entrare nel loro mondo. Peppa Pig, Masha e Orso, PJ Masks». Che è qualcosa di diverso Leolandia lo capisci guardando anche le cifre, lui spende un milione per gli spettacoli. «E guardi che io metto becco su tutto eh? Anche sul cast. Le faccio un esempio: le ballerine devono essere carine certo, ma non sexy. Non voglio mica che le mamme, vere capofamiglia, si sentano minacciate così che poi non vengono più?». Non è facile andare nella direzione opposta, anticipare i tempi, se sei socio di un gruppo, «per questo nel tempo sono diventato il socio di maggioranza e oggi ho il controllo del 70% delle azioni. Amo Leolandia, proprio come amavo il mio cane Leo, da lì il nome, e la voglio a modo mio».
Ira non è un uomo da compromessi, «voglio che questo posto funzioni, che le famiglie si sentano bene, coccolate. E ho avuto sempre una cosa ben chiara: questo dev'essere un parco per ricchi. Al diavolo le ipocrisie. E i miei collaboratori progressisti mi hanno sempre attaccato su questo». Un biglietto che non è certo popolare, 37,50 euro il prezzo intero, ma prenotando in anticipo, scegliendo giornate infrasettimanali, si arriva a pagare 15 euro. Sul tavolo ci sono altre scommesse, a dicembre prima di tutto: «partiamo con Leolandia d'inverno, area coperta con divertimenti, animazione, la possibilità per i genitori di andare a pranzare da soli.
Ho comprato terreni per 300mila metri, vorrei fare hotel, ingrandire il parco, aumentare le aree food». Il bello, a sentire lui, è appena cominciato e il suo viaggio dal mondo di Wall Street a Walt Disney è appena iniziato.
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