In principio ci fu Ángela Maria Ponce Camacho andalusa di Siviglia, eletta Miss Spagna nel 2018, prima modella transessuale a vincere il titolo. Poi è toccato, l'8 luglio scorso, a Rikkie Valerie Kollé, Miss Olanda 2023, prima transgender nominata reginetta, con sostantivo da rivedere in epoca repubblicana. L'onda è arrivata sulle nostre coste e così Patrizia Mirigliani, la titolare dello storico concorso di bellezza, Miss Italia, torneo in vigore dal millenovecentotrentanove quando non essendo possibile il termine inglese miss, la rassegna si intitolava Cinquemila lire per un sorriso. Isabella Verney che, all'età di quattordici anni, spedendo la propria fotografia, fu la prima vincitrice della prima edizione, è morta il sette luglio scorso e la gloria della sfilata ha avuto nuova occasione di racconto e di memorie. La Mirigliani ha però annunciato, durante un'intervista all'emittente radiofonica Rtl 102,5, di avere respinto la candidatura di due trangender italiane con questa tesi a supporto: «Nel mio regolamento, al momento, non ho ancora aperto alle transgender, perché ritengo che debbano essere nate donne. Quindi, finché andrà avanti il mio regolamento, sarà così. E per ora non ritengo di cambiarlo. Le cose devono andare per gradi, l'Italia è un paese delicato e particolare. Inoltre, al momento, solo due transgender hanno richiesto di partecipare a Miss Italia. Pertanto, il mio regolamento attuale non lo consente. La tradizione di un concorso che esiste da ottantaquattro anni ha una sua importanza, ma non ho nulla in contrario riguardo a chi decide di ammettere transgender a concorsi di bellezza, a patto che non sia strumentale».
Non si comprendere bene che cosa significhi il termine strumentale, considerato che qualunque occasione è oggi finalizzata a qualcosa di definito. Il concorso di bellezza resiste al logorio della vita moderna, ragazze splendide partecipano alla passerella che è mal vista dal gruppo di femministe in prima fila, non nel senso dei posti a sedere del concorso, ovviamente. È però singolare come le stesse si ribellino al rifiuto della Mirigliani di accogliere, nell'elenco delle convocate, due ragazze transessuali, là dove il termine intende chi abbia completato la transizione e, dunque, si consideri e venga considerata donna a tutti gli effetti. Torna alla mente lo slogan degli anni Settanta «l'utero è mio e lo gestisco io», quello era lo strillo di un movimento femminista sull'autodeterminazione sul proprio corpo. Qui, invece, ci troviamo di fronte a una scelta burocratica della titolare di un torneo di bellezza che non accetta ciò che oggettivamente è un dato di fatto, un cambiamento di sesso accertato e non un pride da esibizione con dati non meglio definiti.
Se ne parla, comunque, le pari opportunità non vanno confuse con i pari opportunismi eppoi la Mirigliani deve badare anche alla concorrenza imprevista, c'è Miss Bergamo Brescia capitale della cultura che ha già aperto un contenzioso, contestato dal comitato Bergamo Bene Comune contrario al patrocinio dell'assessorato alla cultura del municipio di Bergamo, perché, sostengono i «protestanti» il concorso nulla ha a che fare con la cultura. Ma la Mirigliani ha rispolverato le parole dell'Idiota Myskin, nel senso del romanzo di Dostoevskij: «La bellezza salverà il mondo» perché anche attraverso l'elezione di miss Italia e la partecipazione di un folto gruppo di bellezze italiane la cultura della bellezza stessa, il suo valore, la sua identità sono state riaffermate nel corso degli ottantaquattro edizioni. E ha aggiunto: «Si parla tanto di miss Italia senza considerare le realtà che nel corso degli anni sono cambiate. Ragazze che studiano informatica, che sfidano gli stereotipi di taglie e forme, che hanno il coraggio e la forza di rappresentarsi».
Benissimo ma in controtendenza con il gran rifiuto a chi, sfidando gli stereotipi, ha concluso il proprio viaggio da un sesso all'altro e ha voglia di dimostrare la propria bellezza libera. Come diceva il titolo del 39: Cinquemila lire per un sorriso.
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