Tra i compiti non scritti di Mario Draghi ce n'è uno che presuppone capacità titaniche e grande fortuna: sfruttare lo status di capo di governo più autorevole dei 27 per incoraggiare e quasi obbligare l'Europa a colmare il vuoto lasciato dagli Stati Uniti nell'area mediterranea. Cioè fare politica, politica estera, creando di conseguenza i presupposti per la sicurezza presente e futura. Il precipitoso ritiro americano dall'Afghanistan ha infatti ufficializzato la continuità dell'amministrazione Biden rispetto alla linea trumpiana di disimpegno globale. Ora, sono cavoli nostri. Di noi italiani e di noi europei. Ma le istituzioni europee non sembrano avvedersene: prese come sono ad aprire fronti interni in difesa dei diritti delle minoranze, sembrano sottovalutare le conseguenze della violazione dei diritti di popoli vicini minacciati dal caos politico, dalla crisi economico-sanitaria, dall'incalzare di un radicalismo islamico spesso fomentato dalla Turchia di Erdogan. Ecco, se c'è uno Stato, per giunta con evidente vocazione imperiale, che sta occupando il vuoto lasciato dagli Usa nel Mediterraneo quello è proprio la Turchia.
Accade, come sappiamo, in Libia. Ma accade anche in Somalia, dove anni di investimenti infrastrutturali, sanitari e militari hanno ormai trasformato quest'altra ex colonia italiana in un protettorato turco. Destino che, dopo l'accordo di cooperazione militare dello scorso anno, sembra toccare anche l'Albania. Il Mediterraneo ribolle, diversi stati che lo bordeggiano rischiano il fallimento e mentre l'Europa si divide sui pur sacrosanti diritti degli omosessuali, l'agenzia turca per la Cooperazione e lo Sviluppo Tika interviene concretamente con piani di aiuto e investimento finalizzati, dietro il paravento umanitario, al condizionamento politico dei governi e al controllo delle infrastrutture statali strategiche a partire da porti e aeroporti. Sta succedendo, per linee sunnite, anche in Libano, paese sconvolto da una crisi economica senza precedenti. Potrebbe accadere nella vicina Tunisia, dove il crollo dell'economia e il recente colpo di Stato hanno già dato il via a quella che rischia di diventare un'ondata migratoria imponente.
Scegliendo, lo scorso 6 aprile, la Libia come prima uscita internazionale, Mario Draghi ha
dimostrato di avere ben chiaro il problema. Il punto, ora, è chiarire ai paesi membri, e in modo particolare alla Francia, che per sostituire la politica estera e di difesa americana non basta un singolo Stato: ci vuole l'Europa.
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