E ra solo 28 anni fa. Allora la caduta di un Muro ricreò la Germania e regalò una caduca concretezza al sogno Europeo. Oggi la crisi catalana rischia di riportarci bruscamente al capolinea spezzando e dilapidando le certezze dell'ultimo trentennio.
Certo era già successo. Il primo gennaio 1993 un'evidente incompatibilità nazionale cancellò, appena tre anni dopo la riunificazione tedesca, una Cecoslovacchia appena liberata dalla schiavitù del patto di Varsavia. Ma Slovacchia e Repubblica Ceca non nacquero da una frattura. Furono bensì il frutto di una scissione conseguita grazie a una decisione parlamentare assolutamente consensuale. La crisi dei Balcani con l'indipendenza della Slovenia, seguita dalla guerra di Croazia, dal bagno di sangue della Bosnia Erzegovina e dallo strascico del Kosovo furono sicuramente assai più devastanti. Ma in quel caso il terremoto non riguardava l'assetto storico dell'Europa quanto quello di una Repubblica Federale nata dalla disintegrazione dell'impero austro-ungarico e tenuta assieme soltanto dal pugno di ferro di un Maresciallo Tito scomparso già dal 1980.
Invece la velleità indipendentista di una repubblica catalana è qualcosa di storicamente molto più serio. E proprio per questo è paragonabile, anche se a parti invertite, solo alla grande riunificazione tedesca del 1989. Stentiamo a rendercene conto perché lo stillicidio dell'evento consumatosi tra un referendum abusivo segnato da qualche modesta carica di polizia, le bizantine e cavillose dichiarazioni del leader catalano Carles Puidgemont e i troppo meditati silenzi del premier spagnolo Mariano Rajoy non hanno contribuito a conferirgli solenne drammaticità. Difficile paragonare le manifestazioni per l'indipendenza e un referendum segnato da una partecipazione limitata al 42% alla fiumana di gente assetata di libertà e progresso sociale che il 9 novembre 1989 assalì e sbriciolò il muro di Berlino. Se le sconquassate Trabant della Germania dell'Est erano il simbolo dell'Europa pronta a risorgere e a riunirsi, il ventilato trasloco della Seat stenta a regalarci la sensazione di un continente sull'orlo del baratro.
Un Continente pronto, paradossalmente, a riprecipitare nei localismi e in quella guerra tra principati e contee che credevamo di aver superato fin dalla guerra dei Trent'Anni e da un pace di Westfalia firmata nel lontano 1646. Eppure il significato nascosto di una crisi catalana capace di minare l'assetto dello stato nazionale spagnolo, ma non di scuotere la nostra cinica indifferenza di europei sempre meno convinti, è proprio questo. Se da una parte il sogno di un'Europa federale capace di superare gli Stati nazionali e di traghettarci nella competizione globale appare cancellato dalla burocratica e balbettante gestione di Bruxelles, dall'altra gli stati nazionali incominciano dopo 370 anni a segnare il passo.
Un passo reso ancor più incerto dalla mancanza di classi di governo capaci di garantirne l'evoluzione, rigenerarli e metterli in grado di superare l'impasse europeo. Ma attenzione un secolo fa furono proprio l'indifferenza delle opinioni pubbliche europee e la sonnecchiosa gestione di politici e regnanti dell'epoca a trascinare l'Europa dall'attentato di Sarajevo alla tragedia della prima guerra mondiale. Certo la storia raramente si ripete.
E così oggi la minaccia più immediata non è quella di un devastante e folgorante conflitto bensì quello di un lento e malinconico crollo. Il crollo di un Continente costretto alle lotte di quartiere per la mancanza di condottieri in grado di evocare sogni e aspirazioni sovranazionali.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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