Alla fine tutto è andato come era ampiamente prevedibile: un gigantesco buco nell'acqua, ma un maiuscolo tsunami di fango. La procura di Verona chiederà l'archiviazione per Luca Morisi, l'ex spin doctor della Lega di Matteo Salvini. L'uomo che aveva in mano le chiavi della Bestia social del Carroccio e che è stato divorato da una bestia molto più pericolosa e subdola: l'asse mediatico giudiziario che mastica e sputa tutto quello che incontra sul suo cammino, specialmente se non è di sinistra. La vicenda verrà archiviata per la «particolare tenuità del fatto», tenuità inversamente proporzionale all'attenzione che stampa e talk show hanno dedicato all'accaduto. I fatti sono arcinoti, ma li riassumiamo: lo scorso settembre, a una settimana dalle elezioni amministrative, Corriere e Repubblica pubblicano la notizia di un'indagine a carico di Morisi. La notte tra il 14 e il 15 agosto, in una cascina di sua proprietà a Belfiore, in provincia di Verona, si sarebbe svolto un festino con due escort rumeni a base di ghb e cocaina. Il re dei social leghisti viene indagato per presunta cessione di sostanza stupefacente. Ipotesi caduta ieri: la droga dello stupro è stata portata da uno dei due ragazzi, la polvere bianca era in quantità tale da non costituire reato. Ma nel frattempo i media mainstream lo avevano già condannato senza appello: colpevole. La vicenda per giorni monopolizza l'attenzione dei giornali progressisti e viene usata come una clava, dalla politica, per intorbidire le acque del dibattito elettorale. La tempistica è degna di una casa di orologeria svizzera: dal 27 settembre al 3 ottobre, giorno in cui si aprono le urne, non si parla d'altro. La campagna elettorale è monopolizzata dalle abitudini sessuali del giovane guru leghista. La colata di fango si interrompe - ma sarebbe più corretto dire: cambia bersaglio - solo quando Fanpage pubblica l'inchiesta sui presunti fondi a Fratelli d'Italia.
D'altronde il copione Morisi è perfetto, come se fosse studiato a tavolino da una équipe di sceneggiatori: il braccio destro del leader della Lega finisce travolto da un festino omosessuale con due stranieri e qualche grammo di sostanze stupefacenti. Ci sono tutti gli ingredienti per cucinare un paradosso che preluda alla gogna. Opinionisti, influencer, cantanti, giornalisti e politici si sbizzarriscono. È la nemesi che hanno sempre sognato: il lasciapassare per ogni attacco sotto la cintura. Ogni particolare della vita personale e sessuale di Morisi viene dato in pasto all'opinione pubblica e passato sotto la lente di un rinnovato moralismo. Con il paradosso evidente che quelli che con una mano armano i cannoni del fango contro Morisi, sono i medesimi che ogni giorno si stracciano le vesti in difesa della comunità Lgbt+ e cianciano di schwa e asterischi. Evidentemente un omosessuale di centrodestra ha meno diritti di un omosessuale di sinistra. Può essere vilipeso e messo alla berlina senza che nessuna associazione scenda in piazza o, più blandamente, lanci una pigra campagna di tweet in sua difesa. Due mesi dopo Morisi, che si era dimesso dal suo incarico nella Lega pochi giorni prima dello scandalo, è sfumato nell'ombra, inseguito da un'accusa falsa, perseguitato dai talebani della doppiomoralismo che hanno frugato senza dignità tra le pieghe delle sua vita privata e delle sue debolezze. Per lui non è esistita né solidarietà - se non da parte del centro destra -, né presunzione d'innocenza.
Un caso da
manuale, non un'eccezione. Il metodo, collaudato da anni, che la sinistra mediatico-giudiziaria usa per screditare e annientare il nemico. Rimane un fatto: Morisi, fino a prova contraria, è innocente, chi lo ha sputtanato no.
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