"Morto nella foresta il leader di Boko Haram. Si è fatto saltare in aria per non consegnarsi"

Shekau avrebbe azionato un giubbotto esplosivo. Ma nessuno conferma

"Morto nella foresta il leader di Boko Haram. Si è fatto saltare in aria per non consegnarsi"

Fin qui l'han dato per morto già quattro o cinque volte. Quindi prima di scommetterci sarà meglio aspettare di veder il corpo. O quanto ne resta. Comunque stando alle cronache ufficiali Abubakar Shekau, leader storico del gruppo terroristico Boko Haram in Nigeria, sarebbe passato a miglior vita. Secondo i servizi di sicurezza del Paese africano Shekau si è ucciso innescando il giubbotto esplosivo che indossava dopo esser stato circondato dai miliziani di una formazione secessionista.

Shekau sarebbe definitivamente uscito di scena mercoledì sera dopo esser caduto nelle mani dei combattenti dello Stato islamico nell'Africa occidentale (Iswap) una fazione secessionista di Boko Haram affiliata all'ex Califfato. I militanti del gruppo rivale avrebbero individuato la roccaforte di Shekau, nascosta nel cuore della foresta di Sambisa, grazie alle informazioni ricevute da alcuni alleati attivi nella zona del cosiddetto Triangolo di Timbuctu. Dopo la presa del nascondiglio, attaccato a bordo di camion, gli aggressori avrebbero ingaggiato uno scontro a fuoco con le guardie del corpo di Shekau costringendole alla resa. A quel punto il loro capo avrebbe accettato di negoziare con i leader rivali. Nel corso dell'incontro gli sarebbe stato imposto di rinunciare al potere e di ordinare ai propri seguaci il passaggio sotto le bandiere della nuova dirigenza. A quel punto Shekau avrebbe attivato il giubbotto esplosivo uccidendo se stesso e le persone presenti ai colloqui. Il presunto epilogo basta da solo a sollevare ulteriori dubbi. Non si capisce infatti perché i leader rivali abbiano permesso a Shekau di trattare indossando un giubbotto esplosivo ben difficilmente occultabile.

Anche il resto della notizia è difficilmente verificabile per almeno due motivi. Il primo è la sostanziale impenetrabilità della foresta di Sambisa, infestata da militanti jihadisti. Il secondo è l'evidente interesse della formazione avversaria a dar per buona l'uscita di scena dello storico rivale. Vista la situazione sembra difficile dunque che qualcuno si presenti a incassare la taglia da 7 milioni di dollari messa sulla testa del leader di Boko Haram dal Dipartimento di Stato americano. Aldilà della sua fondatezza la notizia è comunque un sintomo della profonda crisi attraversata da una delle più feroci formazioni del terrore islamista. Tristemente famoso per gli attentati alle chiese, gli spietati attacchi alle comunità cristiane e la singolarità di un nome la cui locuzione significa «l'istruzione occidentale è proibita», Boko Haram era riuscito, dopo l'adesione alla Stato Islamico, a espandersi dal nord della Nigeria al vicino Cameron. E da lì aveva influenzato molti altri gruppi jihadisti attivi dal Sahel all'Africa occidentale. Ma proprio le rivalità interne ne hanno segnato, dopo il 2016, la frammentazione e il sostanziale indebolimento.

Purtroppo, però, neppure la morte di Sheiku garantirà, qualora confermata, l'immediata fine delle atrocità. Migliaia di suoi seguaci sono infatti ancora liberi e pronti a colpire sotto nuove sigle e nuove bandiere del terrore islamista.

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