«Il pazzo maniaco Putin verrà fermato dal popolo russo ora, se si opporrà alla guerra». L'appuntamento è per domani, domenica 13 marzo, diciottesimo giorno di bombe e disperazione in Ucraina. Alle 14 ora locale, «nella piazza principale di ogni città russa». Alexey Navalny chiama a raduno i suoi concittadini dietro lo slogan «contro la guerra e la morte», e chiede ai russi contrari al conflitto di tornare a manifestare domenica e «ogni week end», «anche se sembra che tutti hanno mollato o hanno paura». L'appello arriva tramite un messaggio social, proprio mentre Mosca limita l'accesso a Facebook, Instagram e Whatsapp e vuole inserire Meta, la società che li detiene, tra le organizzazioni estremiste.
È un grido «alle persone più importanti del pianeta in questo momento», cioè a quei russi che possono «fermare Putin», spiega il dissidente. Un appello dal carcere, dove Navalny è detenuto da 14 mesi dopo la condanna a 3 anni e mezzo di prigione per aver violato i termini di sospensione della pena (era in Germania a curarsi, dopo essere stato avvelenato con il gas nervino Novichock «per ordine di Putin» nell'agosto 2020), e dove lo attende un'altra sentenza nel processo per frode e oltraggio alla corte la cui ultima udienza si svolgerà martedì prossimo. Navalny rischia altri 15 anni di galera.
Difficile prevedere quanti russi seguiranno l'appello dell'avvocato e blogger, ormai nemico politico numero uno di Putin. La Russia è chiusa nella bolla propagandistica del Cremlino. Lo stesso Navalny riferisce che sui media russi non è mai apparso il dato ufficiale, fornito dall'esercito, dei 498 soldati che secondo Mosca sarebbero già morti in quella che viene definita da tv e media «l'operazione militare speciale» in Ucraina, perché chi la chiama «guerra» rischia fino a 15 anni di carcere.
Ma l'opposizione al conflitto, anche sotto traccia, cresce fra intellettuali e cittadini comuni. E con l'opposizione al conflitto si fa più duro il pugno di polizia e autorità contro i manifestanti e il rischio di arresti e condanne al carcere. L'ultima volta, il 6 marzo, sono stati circa 5mila i russi finiti in manette, dopo le proteste avvenute in 69 città contro la guerra. Secondo Ovd-Info, organizzazione indipendente russa per i diritti umani, sono 14mila le persone fermate in 140 città russe dal 24 febbraio, inizio dell'invasione in Ucraina. Le testimonianze raccolte dai fermati, che se condannati rischiano dai 2mila ai 300mila rubli e fino a 30 giorni di carcere, sono la fotografia del pugno di ferro del Cremlino. Niente avvocati in caserma, botte, teste spaccate, minacce, taser, telefoni sequestrati e rotti, insulti. Alexandra Kaluzhskikh, attivista femminista di 26 anni che era in piazza a Mosca il 6 marzo, ha registrato tutto su un secondo telefono che ha portato con sé alla stazione di polizia, mentre l'altro cellulare veniva prima setacciato e poi lanciato in aria dagli agenti. Lei invocava l'articolo 51 della Costituzione russa, il diritto a opporsi all'autoincriminazione che gli agenti russi volevano strapparle («Nessuno è obbligato a fornire prove incriminanti»). Intanto i poliziotti la colpivano con bottiglie piene d'acqua in faccia, sulla testa, sulle gambe e la insultavano: «Scimmia, guarda che tette del ca... Siete i nemici della Russia. Putin è dalla nostra parte».
Tutto registrato e girato a Meduza, testata indipendente in russo. Mosca intanto ieri ha già inserito nella lista dei ricercati internazionali Kira Yarmysh, portavoce di Navalny fuggita dalla Russia dopo una condanna a 18 mesi. Ha invitato anche lei i russi a manifestare domani.
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