Si trova forse nel cellulare della vittima la chiave del giallo dell'omicidio del ginecologo Stefano Ansaldi. Lo smartphone del 65enne ucciso sabato a Milano è l'unico oggetto sparito dalla scena del delitto oltre al portafogli. Nei contatti, telefonate e messaggi c'è la risposta alla domanda centrale: chi doveva incontrare il medico?
I carabinieri del Nucleo investigativo, coordinati dall'aggiunto Laura Pedio e dal pm Adriano Scudieri, hanno accantonato l'ipotesi della rapina sfociata in omicidio. Un delitto troppo «efferato» per essere la conseguenza imprevista di una razzia: la ferita al collo è stata violenta e profonda, un vero sgozzamento, e l'arma viene definita «un coltellaccio» da cucina, poco pratico per un rapinatore. Senza contare che valigetta e Rolex del ginecologo sono stati lasciati sul posto e che il killer non è stato visto allontanarsi dai testimoni. Molti elementi ancora non tornano e la Procura ha disposto l'autopsia.
Si indaga quindi sul motivo del viaggio. Ansaldi non aveva addosso né il biglietto di ritorno (ma poteva essere nel portafogli), né un'agenda cartacea. Secondo telecamere e celle telefoniche, è sempre rimasto nella stessa zona. Familiari e colleghi di Napoli sono stati interrogati. Non risulta che il medico avesse pazienti o collaborazioni a Milano. Alla moglie aveva detto di dover incontrare colleghi venuti dalla Svizzera.
È stato ucciso sotto un'impalcatura coperta da teli, un posto perfetto per un'aggressione. Ma anche per incontri lontano da occhi indiscreti. Nessuno, nonostante il clamore, si è fatto avanti per dire di essere la persona del misterioso appuntamento.
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